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Le mani nel cassetto del Chichingiolo
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BRUNO ANDREA DALMASSO SI RACCONTA
(Intervista raccolta da Franco Caparrotti)
Prima puntata

B.A. Dalmasso

Puntualmente, ogni qual volta sono con Bruno e si parla di qualsiasi argomento, ecco
trapelare dalla sua memoria di tutto e di …più. E' come se si mettesse in moto una macchina di ricordi ma di ricordi così lucidi, così vivi che ti sembra di essere lì presente, di sfiorali o addirittura di toccarli.
In uno dei miei articoli precedenti, ho definito il nostro Bruno "memoria storica". Lo è davvero, cosicché ho pensato di raccogliere tutto ciò che Bruno ci racconta, partendo dal suo arrivo in Eritrea fino ai giorni nostri.
Sicuramente sarà una bella cavalcata nel tempo, piena di aneddoti, di fatti e momenti di vita esaltanti e a volte anche tristi.

Carissimo Bruno, raccontati o meglio raccontaci di te. Dal tuo arrivo in Eritrea ad oggi.
Mio padre andò in Eritrea nel 1937 con suo fratello con lo scopo di impiantare una fabbrica di marmette, di mattonelle o in genere di manufatti in cemento per l'edilizia. Papà aveva la stessa fabbrica in Italia e pensò di poterne creare una anche nella Colonia. Il 10 Ottobre del 1939 unitamente alla mamma ed a mio fratello Luciano, futuro dottore in medicina conosciuto come "Dottor Dalmasso" che si trova attualmente ancora in Eritrea, sbarcammo a Massaua. Venimmo a trovare papà come turisti, però la guerra, la seconda Guerra Mondiale, sarebbe da lì a poco scoppiata. Rimanemmo così bloccati. Nel 1943, arrivarono diverse navi per riportare indietro i nostri connazionali.
Erano le cosiddette "navi bianche"?
Si, erano le "navi bianche". Noi non riuscimmo a prenderle perché lo zio, il fratello di papà era appena deceduto ad Asmara. Nel 1945 si ripresentò l'occasione, ed anche questa volta si decise di restare. Papà, essendo stato iscritto al partito "Fascista", aveva paura di ritorsioni una volta rientrato in Italia. Iniziai a frequentare le elementari ad Asmara nel 1940. Si studiava e si frequentava molto poco a causa dei continui bombardamenti. Si era quasi sempre in "rifugio". La mia scuola si trovava nel gruppo rionale Neghelli, diciamo l'attuale Godaif vicino al passaggio al livello. Mi ricordo che gli inglesi ci permisero di frequentare le scuole, avendo dato due stanze in un palazzo, vicino alla Feltrinelli a Campo Polo. Frequentai le scuole fino al conseguimento del diploma di maturità classica al Liceo F. Martini. Erano gli inizi degli anni cinquanta. Mi iscrissi poi a Giurisprudenza dove frequentai solo per due anni. In quegli anni dovevo assolutamente lavorare e quindi il problema economico non mi permise di continuare gli studi.
Bruno come vai veloce, parlaci della tua giovinezza.
L'Eritrea era un paese felice e di conseguenza eravamo tutti felici. Vivendo a Godaif si gravitava intorno alla chiesa di S. Antonio, era la nostra parrocchia vicino al Campo Zuco. Eravamo in tantissimi ragazzi e si giocava a "guardie e ladri", a "palla avvelenata", a "pallone". Si facevano gare con i ragazzi degli altri rioni. Erano tutti giochi spensierati e si stava benissimo anche se si era sotto l'Amministrazione Inglese. Vi erano però movimenti politici contro gli italiani.
Ne ha parlato ampiamente e dettagliatamente Eros Chiasserini sul Mai Taclì.
Sì pertanto non mi soffermo. E' stata una situazione veramente pesante. Noi eravamo piccoli e non ci interessavamo. Si giocava a pallone, si vedevano le corse in bicicletta, le gare di biliardo. Abbiamo però avuto momenti di paura quando le azioni contro i nostri connazionali (sia alle persone fisiche sia alle attività) si accentuarono. Con l'avvento della Federazione tutto si è ristabilizzato ed è tornata la calma.
Dopo la morte di papà andammo a vivere in centro dove io ho finito le scuole. Mio fratello Luciano invece rientrò in Italia per completare gli studi di medicina. Quindi io iniziai a lavorare con la Compagnia Alberghiera "CIAAO" a Massaua. Sono stato loro dipendente 21 anni sino allo scoppio degli eventi bellici.
Bruno, giustamente quando si è giovani, si è spensierati, si pensa al gioco e basta. La guerra però c'era, l'hai vissuta e non penso fosse un divertimento.
E' vero, anzi verissimo, quando le sirene iniziavano a suonare, si correva ai rifugi e moltissime volte si arrivava con i calzoni bagnati... Si sentivano gli scoppi, i bombardamenti, le battaglie aeree. Abbiamo vissuto e visto diversi combattimenti aerei. Godaif era vicino all'aeroporto. Quando suonavano le sirene e si sentivano i primi scoppi, i nostri caccia, i nostri "42" si levavano in volo per ingaggiare i combattimenti. Combattimenti che si svolgevano sempre sul triangolo di cielo Ghezzabanda-Gaggiret-Godaif. Ogni tanto vedevi una fumata ed un aereo che veniva giù. O italiano, o inglese. Terminato il combattimento e passata la paura, si correva nel luogo dove era caduto l'aereo per vedere cosa era rimasto o cosa si poteva raccogliere.
Chi erano i nostri piloti? Visentini e chi altro? Visentini come è stato abbattuto?
No, Visentini (medaglia d'oro al Valore Militare ndA) non è stato abbattuto. Era un eroe, il terrore dei cieli. Il suo coraggio era immenso e le sue doti di aviatore eccezionali. Il nemico stesso riconobbe in Visentini un eroe di guerra, leale e meritevole degli onori ricevuti. Gli dissero che un suo carissimo compagno di aviazione di cui non ricordo il nome, non era rientrato da una missione. Senza batter ciglio si alzò in volo alla ricerca del suo amico. Il cielo era nuvoloso, addirittura le nuvole erano bassissime, la visibilità inesistente. Nella Valle di Nefasit, la nebbia era fittissima. Il povero Visentini si schiantò sul Monte Bizen.
Chi erano gli altri?
Oltre a Visentini c'erano Consoli, Morlotto, ma ero troppo piccolo per ricordare tutti i nomi. Avevo circa sette anni quando mi è capitato un fatto molto triste il cui ricordo è vivido nella mia memoria. Vidi l'aereo di Consoli colpito venire giù. Ad un tratto nel cielo apparve una sagoma sorretta da un ombrello. Allora non conoscevo, non avevo mai visto un paracadute. Consoli si era lanciato e scendeva, cullato dal vento quando un paio di aerei inglesi girarono intorno al paracadute ed aprirono il fuoco. Moltissime furono le imprecazione e le ingiurie degli adulti. Non mi permetterei di ripeterle. Era stata comunque compiuta una "vigliaccata". Scomparsi gli aerei nemici, ci precipitammo sul luogo dove atterrò il paracadute. C'era Consoli sanguinante e sorretto da alcuni suoi commilitoni. Piangevano tutti. Consoli aprì gli occhi e quando vide i suoi compagni piangere disse: "Non lacrime ma fiori. Fiori profumati che mi ricordino la mia patria lontana." Poi spirò.
Queste bellissime e toccanti parole "Non lacrime ma fiori" furono poi scritte nella sua lapide. Parole toccanti che anche oggi a 72, mi viene la pelle d'oca a raccontarle. (Anche a noi a sentirle ndA)
Ci sono cose che vedi o vivi da bambino che ti rimangono impresse per tutta la vita, come la deportazione del Duca Amedeo d'Aosta.
Gli inglesi avevano ormai il controllo dell'Eritrea, c'erano però alcune sacche di resistenza come quella dell'Amba Alagi, di Gondar, le nostre roccaforti, esattamente.
Come detto prima, noi abitavamo all'altezza della teleferica a Godaif. Di li partono le due strade che vanno in Etiopia, una via Amba Alagi, Kobbò, Dessiè e l'altra via Axum, Walkefit, Gondar.
Dico questo perché una mattina, gli inglesi attaccarono sui muri di Asmara le loro locandine o meglio definirli manifestini di 60 x 60 cm. Era un modo per dare disposizioni al popolo e molte più volte per informare il popolo degli eventi in corso.
Leggemmo con grande stupore che l'Amba Alagi aveva capitolato e che il Duca d'Aosta era stato fatto prigioniero. Ogni giorno si aspettava il suo passaggio da Asmara ed ogni qualvolta si spargeva la voce, gli italiani si schieravano lungo la strada. A volte le attese erano stressanti e non succedeva niente.
Una mattina, ci fu il solito tam-tam, con centinaia di italiani che si riversarono lungo la strada. Iniziarono a passare diversi autocarri militari inglesi con le loro truppe, alcuni con prigionieri italiani piantonati da militari indiani. Noi battevamo le mani gridando: "Viva l'Italia". Il numero dei curiosi aumentava notevolmente e ad un certo punto, si iniziò a sentire un rumore assordante. Era l'eco di urla che mano a mano diventavano sempre più chiare, sino a che si sentì distintamente: "Duca, Duca, Duca, ...." Anche noi iniziammo a gridare nello stesso modo. Si videro in lontananza delle camionette cariche di soldati, seguite da motociclisti (militari in moto) che scortavano una vettura, una Ford verde decappottata. All'interno oltre all'autista c'era un militare ed un altro signore alto vestito di bianco e con un cappello in testa. Era il Duca. La macchina procedeva ormai a passo d'uomo tanta era la folla che inneggiava al Duca.
E qui ci fu la scena che ti colpisce e che ti rimane impressa. Il Duca, aveva la testa reclinata in avanti e piangeva. Chissà cosa volesse dire quel pianto. Molto probabilmente di commozione. La vettura continuò la sua marcia, girando poi a sinistra in direzione dell'aeroporto. Infatti il Duca fu deportato in Kenia.
Bruno, tempo fa mi hai dato un bellissimo libro da leggere: "La Guerra Privata del Tenente Guillet" di Vittorio Dan Segre, Corbaccio Editore, che parla della resistenza italiana in Eritrea durante la seconda guerra mondiale. Mi avevi pure raccontato che lo conoscevi...
Lo conosco molto bene, ora è il Generale Guillet. Ha più di cento anni, vive in Irlanda e alleva cavalli, Ambasciatore d'Italia, militare pluridecorato. Ha fatto una guerra personale sua. L'Eritrea era ormai tutta occupata dagli inglesi, avevano il totale controllo e Guillet con la sua cavalleria dava battaglia e filo da torcere alle loro truppe. Correva voce che Rommel, stava avanzando in Egitto, verso il Sudan per poi entrare in Eritrea e riconsegnarla all'Italia. Questo galvanizzava Guillet ad organizzare le sue truppe a cavallo e penetrare nelle linee inglesi, provocare la maggior confusione possibile e tornare indietro. Queste azioni si ripetevano con regolare scadenza in diverse aree del bassopiano occidentale. Gli inglesi impazzivano, non riuscivano a catturarlo. Infine Guillet, esaurite le forze e le truppe, si rifugiò nello Yemen.
Ma dove hai conosciuto Guillet?
Come sai, lavoravo, con la compagnia dell'Albergo CIAAO. Un mio collega di lavoro, Arcangeli, deceduto recentemente, sì purtroppo, ha raggiunto il Paradiso degli asmarini, l'ho letto sul Mai Taclì, era stato Ufficiale di Cavalleria e conosceva benissimo Guillet. Mi raccontava sempre di Guillet, era come se lo avessi sempre conosciuto. Poi c'era Arafainè, un eritreo che faceva il portiere del CIAAO, ed era stato per anni l'attendente di Guillet ed anche lui non faceva altro che raccontarmi le storiche imprese di Guillet.
Sarà stato nel 1961, quando Guillet, fu nominato Ministro Plenipotenziario nello Yemen, a Saana. Lui era amicissimo del Re (il Sultano) dello Yemen. Il Re chiamava Guillet figlio. Essendo lo Yemen dirimpettaio dell'Eritrea, Guillet prese l'aereo e venne ad Asmara e quindi al CIAAO. Quella mattina ero nella reception e il portiere di turno era Arafainè. Vidi entrare un uomo basso con un cappello in testa e due occhietti piccolissimi. Arafainè, come vide questo personaggio, cacciò fuori un urlo che ci fece sobbalzare. Gridò: "Comandante Guillet". Guillet rimase stupito per un attimo e quindi rispose: "Carissimo Arafainè, cosa fai qua?" Guillet si ricordava il nome di tutti i suoi soldati e ufficiali. "Dove sono gli altri miei prodi soldati? Sono ancora vivi?" Arafainè disse che avrebbe sparso la voce e che sarebbero venuti a trovarlo.
Anche l'incontro con Arcangeli fu emozionante. Si strinsero in un abbraccio intenso e presero a raccontarsi la loro vita dal momento della loro separazione.
La mattina seguente fuori del CIAAO c'erano una cinquantina di Ascari ad aspettare il loro comandante. Guillet non li fece attendere molto, si gettò tra loro abbracciandoli tutti, uno ad uno e salutandoli per nome. Si lamentarono con Guillet, dicendo che ogni qualvolta che si recavano al Consolato Generale d'Italia ad Asmara, per far valere i loro diritti di Ascari (liquidazione di guerra e pensione), non venivano presi in considerazione in quanto non producevano l'evidenza che avevano combattuto per l'Italia. Guillet senza batter ciglia disse loro: "Bene, ora io sono qui e posso testimoniare per voi. Andiamo al Consolato." Guillet e i sui cinquanta ascari si recarono a piedi al Consolato e qui testimoniò per i sui ascari e fece prendere loro sia la liquidazione di soldato che la pensione.

(1 - continua)

 
11 Luglio 2006

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