Prima Pagina
Album
Arabesque
Cassetto
Libreria
Links
Note a margine
Scrivici


Le mani nel cassetto del Chichingiolo
A pagina 41
42
A pagina 43

IL SANTUARIO DI HEBO
di Antonio Caputi

L'articolo che segue e le foto che l'accompagnano vennero pubblicati dalla rivista "Federazione" nel settembre del 1961.

Hebo, una piccola Chiesa in un modesto paese di poche centinaia di abitanti, un'angusta ed arida vallata circondata dalle alte montagne del Medaten, del Cudò Bergenà, del Dierillè e del Bahael che si stagliano intorno nel cielo fino a raggiungere i 3000 metri, un esile torrente, il Mai Grat Aagram; un paese povero, sperduto, ma celebre perché è un faro di Luce di Cattolicesimo in Etiopia.
Poco dopo Seganeiti, sulla strada asfaltata Seganeiti-Adi Caieh, al lato sinistro, un cartello, con sopra la scritta "A la tomba dell'Abuna Jacob", indica la pista che porta ad Hebo. 14 chilometri di pista attraverso un paesaggio desolato, cosparso di euforbie, di grandi blocchi di pietre, di fichi d'india e di vari altri alberi spinosi, una pista che sino a pochi anni fa era quasi impraticabile, ma che oggi è stata resa accessibile alle automobili ed ai pullman, sebbene il fondo stradale sia ancora molto pietroso ed in qualche punto anche franoso.

Nella lingua Etiopica "ABUNA" significa "Nostro Padre ", e questo appellativo è da per se stesso sufficiente per indicare l'affetto e la venerazione con cui gli Etiopici amarono l'Abuna Jacob.
Chi era questo Abuna? Da dove veniva? Che cosa fece per meritare tanto rispetto, tanta stima e tanta venerazione?
Egli era uno di quei rari uomini, semi di Santità, che Iddio invia nel mondo ad altri popoli sconosciuti, per portare loro le prove della vera carità e del vero amore di Dio verso il prossimo. per poi morire fra quei popoli ove essi hanno seminato il loro amore e per cui sono stati amati in vita come fratelli, come padri e venerati come Santi. E dal seme del loro corpo morto, lentamente, dopo secoli, germoglia quella luce di Santità che diventa poi con il tempo un gran faro Divino di Amore e di Fede.
Tale fu in vita De Jacobis.
Nell'ottobre del 1839 giunse a Massaua un prete della Missione della Casa. dei Vergini di Napoli, Giustino De Jacobis, prete Lazzarista della Missione di San Vincenzo De' Paoli.
Era nato a San Fele di Basilicata, un antico paesetto appollaiato in una gola dell'Appennino Lucano, il 9 ottobre 1800. La sua famiglia era benestante, nonché antica per nobiltà e perfetta per cristiane virtù. Dalle rocce di San Fele, suo paese nativo, portava nel sangue la fermezza del carattere e dell'esempio della sua famiglia manifestava la grande santità dello spirito. Sin da bambino, nella Chiesa dell'Annunziata, sita a pochi passi di fronte alla sua casa, egli aveva nutrito il suo cuore di tutte le virtù cristiane, per cui scelse la carriera religiosa. Fu educato nella casa dei Preti della Missione dei Vergini di Napoli ed a 24 anni fu ordinato sacerdote nella Cattedrale di Brindisi.
Sin dall'inizio del sacerdozio, i suoi modi di predicare e di convincere, il suo comportamento esemplare di carità, di umiltà e di Cristiana virtù conquistarono il cuore di interi paesi delle Puglie, come: Brindisi, Taranto, Monterone, Monopoli, Ostumi, Squinzano, Lecce, aria, Francavilla, ecc. Per il suo spirito di esemplare sacrificio e di cieca ubbidienza venne a 34 anni designato Superiore della Casa di Lecce e dopo 2 anni Direttore del Noviziato di Napoli.

Alla fine del 1836 a Napoli scoppiò il colera ed il De Jacobis, in tale circostanza (1836-37), mostrò le più eroiche virtù cristiane nell'assistenza dei colerosi. Dalla mattina alla sera lo si vide instancabile al capezzale dei malati, nelle carceri, nelle case, negli ospedali, e lo si vide persino curare la sepoltura dei morti. Questa sua opera di carità attrasse l'ammirazione di Re Ferdinando II il quale lo propose al Papa Gregorio XVI per la nomina a Vescovo. Il De Jacobis, che nella sua umiltà diceva: "lo debbo ancora imparare a fare il prete e mi vogliono nominare vescovo ", per sfuggire al Vescovato, chiese di essere inviato in missione e gli fu offerto quello dell'Etiopia, che egli accettò con grande gioia.
Già al De Jacobis si attribuiva in Italia il dono divino di compiere grazie e miracoli. Nel Mar Rosso, poco prima di giungere a Massaua, una tempesta furibonda si scatenò sulla fragile nave con il pericolo di sommergerla. Sotto il rovesciarsi della tempesta e l'infuriare delle onde, il De Jacobis eleva al cielo "L'Ave Maris Stella", getta nel mare una piccola medaglia di Maria e lega una seconda medaglia all'albero della nave. La tempesta si calmò e la nave giunse in porto.
Appena sbarcato a Massaua, il De Jacobis baciò la terra d'Africa, ringraziò Iddio perché era finalmente arrivato fra gli abissini, che egli chiamava "suoi fratelli" e con spirito divino si avviò verso Adua. In Adua si rinchiuse nella più stretta clausura in una casa a fianco della Chiesa Copta del Salvatore, ove si recava ogni giorno a pregare, si vestì come i monaci abissini, si diede allo studio delle lingue Etiopiche e si adattò in tutto all'indole ed ai costumi del popolo e il popolo poco dopo lo prese ad amare. Col suo modo esemplare di vita riuscì ad ottenere la protezione del Re Ubiè del Tigrai, poi riuscì a convertire alcune famiglie elette, fra cui quella di Abba Teclehaimanot che poi morì in fama di santità. Ogni giorno il numero dei cattolici andava crescendo intorno al De Jacobis il quale riuscì a formare uno stuolo di monaci, di preti e di allievi che, conforme all'ideale evangelico, lo seguiva in tutte le sue peregrinazioni. Egli creò questo nuovo metodo di propaganda col formare il Clero del luogo. Suo discepolo fu il Sacerdote Abissino Abba Ghebrè Mikael che morì martire e fu Beatificato nel 1926.
Adua, Axum, Moncullo, Guala, Halai, Alitiena, Asmara, Gondar e le più infime zone deserte ed ambe e valli di Etiopia lo conobbero instancabile pellegrino di Dio, seminatore di amore e di bene. Egli non faceva alcuna distinzione di classe o di credo; accoglieva, consigliava ed assisteva tutti con lo stesso senso di carità e di virtù e con lo stesso amore insegnato da Cristo. Nell'ottobre del 1848, sebbene egli non lo desiderasse, per necessità di eventi, venne, da Monsignor Massaia, consacrato "Vescovo di Nilopoli e Primo Vicario Apostolico dell'Abissinia", con Bolle di Papa Pio IX. La consacrazione avvenne in fretta e furia a Massaua fra speciali circostanze: infuriava fra i Mussulmani di Massaua e le truppe di Re Ubiè una lotta spietata, mentre i Turchi esercitavano le più feroci rappresaglie contro i Cristiani sia Abissini che Europei, sia Copti che Cattolici. Nei suoi 20 anni di apostolato in Etiopia il De Jacobis soffrì carcere, tradimenti, persecuzioni, esilii, ma il suo spirito evangelico non ebbe tentennamenti. Ai suoi persecutori elargì sempre il suo perdono ed agli afflitti, ai miseri ed agli infermi il conforto più amorevole del suo cuore e della sua carità. Né smise per alcun motivo di tormentare la sua carne con la rigorosa disciplina, con il digiuno e il cilicio.
Morì nel deserto del Samar, nei pressi della valle d'Alghedien, fra i monti Ghedenè ed Amano, nel pomeriggio del 31 luglio 1860, giacendo sulla nuda terra con la testa appoggiata su un sasso ed il viso coperto da un mantello bianco, come uno stanco pellegrino che sosta per riposare.
Si stava trasferendo da Moncullo ad Halai con 15 allievi, 7 Preti ed alcuni monaci. In quello stesso deserto del Samar una volta il De Jacobis era uscito vivo dalle mani dei briganti, un'altra volta era restato illeso dagli artigli di un leone che lo guardava da tre passi di distanza, in quel pomeriggio del 31 luglio 1860 dalla morte ne uscì con l'aureola di Santo. Poco prima di morire egli aveva presagito la sua morte nella visione del Signore che lo chiamava nella Gloria dei Cieli. Disse pure che voleva essere seppellito ad Hebo nella chiesetta, che egli aveva costruito e prediligeva in vita. Quando il grido disperato di dolore si levò dal deserto del Samar: "L'Abuna Jacob è morto!", "L'Abuna Jacob è morto!", dopo poche ore tutte le alture del paese risuonarono, come alla morte dei Re, del grido doloroso: "L'Abuna Jacob è morto!", "L'Abuna Jacob è morto!". Uomini e donne, vecchi e fanciulli, avvinti dalla profondità del dolore e dalla grandezza dell'amore, lasciarono le loro abitazioni e i loro campi e si precipitarono dietro i Sacerdoti all'incontro della salma venerata, non curando le difficoltà del cammino, né l'oscurità della notte.
Il Console Francese Gilbert mandò un ordine perentorio che la salma venisse trasportata a Massaua, ma gli Abissini, Cristiani e Mussulmani, nonché il capo della scorta armata, Nahib Mohamed Arè, risposero tutti: "Noi non ubbidiamo al Console francese, ma andremo dove l'Abuna Jacob ci ha detto di voler essere sepolto". Così trasportarono la salma ad Hebo, dandole sepoltura nella chiesetta.

Nella valle di Hebo questo piccolo seme venne sepolto e, davanti alla attuale chiesetta, esiste ancora aperta la fossa, ove ebbe sepoltura nel lontano 1860. Il popolo attribuisce alla terra di questo primo sepolcro virtù di grazie e di miracoli. I fedeli prendono un poco di terra dal sepolcro, la stemperano nell'acqua e l'acqua acquista dono di guarigione di malattie ribelli al trattamento dei medicinali.
Monsignor Salvatore Pane della stessa Missione Lazzarista, Prefetto Apostolico del Tigrai, è stato l'ideatore dell'attuale Grande Opera che sta sorgendo ad Hebo. Il seme della santità di Giustino De Jacobis dopo un secolo germoglia nella valle di Hebo e incomincia a dare i primi frutti.
Il progetto tracciato da Monsignor Pane è grandioso: Un grande Santuario dedicato al Cuore Immacolato di Maria, con due grandi edifici laterali per le opere Missionarie: Orfanotrofio, Ospizio, Ospedale, Seminario.
Come procurarsi e dove trovare il danaro necessario per costruire un'opera così maestosa, mentre la Missione aveva un capitale incredibilmente modestissimo di appena 100 Sterline Est. Africa? Monsignor Pane ebbe fede nella Provvidenza, ed infatti intitolò l'opera: "LA PROVVIDENZA", e la Santa Provvidenza che mai abbandona gli uomini di buona volontà, si è dimostrata in questa circostanza, ogni giorno. sempre più palese, nell'aiutare le buone intenzioni e le opere di carità di questo piccolo nucleo di Lazzaristi.
"Parva favilla gran fiamma feconda ".
Con il modestissimo capitale di appena 100 Sterline, il 2 luglio 1946 si dava inizio all'Opera. Si cominciò col cercare l'acqua. Dopo vari tentativi falliti si riuscì a trovarla nei pressi del torrente Mai Grat Aagram e venne scavato un grande pozzo, dotato di elettropompa che porta l'acqua a 60 metri di prevalenza e a 530 di distanza, con un passaggio sospeso sul torrente, ad un grande serbatoio a monte, da cui vengono poi alimentate due fontanine pubbliche, una nella piazza antistante alla Chiesa e l'altra ai margini del paese. Nel 1947 i primi due Missionari Lazzaristi, Padre Teta, l'attuale Direttore della Missione, e Padre Straquadario Francesco ed il fratello Converso Donato Peccarisi si stabilirono ad Hebo, prendendo alloggio in una piccola casa per dare inizio ai primi scavi per la costruzione della Casa dei Sacerdoti. Nello stesso anno Monsignor Pane si recò in Italia per raccogliere i primi fondi occorrenti. Nel 1948 si dette inizio alla costruzione della Casa delle Suore ed appena alcuni locali furono pronti, nel settembre dello stesso anno, vi andarono le prime Suore figlie della Carità di San Vincenzo De' Paoli, Suor Giustina Stinga e Suor Teresa Campilargiu e vi raccolsero le prime cinque orfanelle della zona. Nel frattempo venne approntata una fornace di mattoni per agevolare e rendere meno costosa la costruzione. Poi venne dato inizio ad un orto sperimentale. Una collina pietrosa, sommersa da una selva di fichi d'india, fu dissodata e trasformata in piani a terrazze per l'orto sperimentale che provvede non soltanto ai bisogni del complesso sociale della Missione, ma ha anche uno scopo educativo ed istruttivo di insegnamento per i giovani che desiderano di diventare dei buoni agricoltori.
Poi venne costruita una piccola centrale elettrica con due gruppi elettrogeni per fornire di luce la Chiesa, la piazza antistante e i due complessi di costruzione delle Suore e dei Padri. Poi venne impiantato un mulino. Ed ultimamente è stato scavato un pozzo artesiano dietro la chiesa dono del Punto IV. U.S.A. Missione in Etiopia. Nell'ottobre del 1952, sotto la guida di Monsignor Pane, fu rimosso nella Chiesetta il secondo sepolcro, dove nel 1939 le ossa del De Jacobis vennero racchiuse, in seguito alla ricognizione necessaria per la Beatificazione. Le ossa furono ricomposte e riordinate in un'apposita artistica urna di ottone dorato e cristalli, con sopra l'effige al naturale del De Jacobis che in quest'urna sembra tranquillamente e serenamente dormire, con il viso rivolto verso il Nord. L'urna giace sull'altare della piccola cappella a destra dell'Altare Maggiore.

Le opere ogni giorno sono andate sviluppandosi. Già funziona un orfanotrofio che ospita 21 bambine prive del sorriso materno. Funziona una scuola di lavori domestici, ricamo, cucito e tessitura per le ragazze, affinché possano diventare delle buone e solerti madri di famiglia. Funziona un ambulatorio con infermeria ed armadio farmaceutico. L'ambulatorio è gratuito e gratuitamente vengono distribuite le medicine necessarie. L'ambulatorio cura una media di 50 malati al giorno, la maggior parte provenienti dai paesi vicini. Inoltre vi è un asilo infantile ed una scuola primaria con 250 alunni. Vi è una scuola Apostolica per la formazione dei giovani Etiopici, aspiranti alla vita religiosa Lazzarista o a Preti per l'Esarcato Apostolico con 30 alunni interni, nonché un pre-seminario con 21 alunni. Funziona pure una scuola di preparazione sia dal punto di vista professionale che tecnica di arte e mestieri, secondo la capacità e l'inclinazione dei giovani.
Infine è stata creata una Casa per gli Esercizi Spirituali per il clero ed il laicato in genere. Sia gli uomini che le donne trovano l'accoglienza più affettuosa e amorevole secondo gli insegnamenti di Cristo. Le opere costruttive continuano: E' in costruzione l'ampliamento dell'orfanotrofio comprendente un seminterrato per la cucina, dispensa e refettorio, nonché un nuovo ambulatorio più vasto. Così il piano sopra elevato verrà adibito a scuola con un salone per l'asilo con ampia veranda e cortile, mentre il piano superiore sarà adibito per i dormitori. Chi visita il complesso delle opere resta meravigliato nel vedere come, in una vallata così desolata, possa sorgere un'opera talmente maestosa. con aule scolastiche, ambulatori, dormitori, refettori e camerate degne dei più progrediti stati del mondo.
Tutto questo complesso sembra un miracolo di fatica sovra umana, sorretta dalla Fede di 4 Sacerdoti Lazzaristi, due Etiopici Abba Teclè Haimanot Tesfù e Abba Fessazion Bernabas e due Italiani già sopra citati, e da 5 Suore della Carità di San Vincenzo De' Paoli 2 Italiane e 3 Etiopiche, il tutto alimentato dalla carità dei devoti. La spesa raggiunta sino ad oggi è stata di oltre 350.000 Dollari Etiopici, pari a circa novantamilioni di Lire Italiane.
I Padri Missionari sperano di mettere fra non molto la prima pietra della grande Chiesa. Di giorno in giorno e di anno in anno i pellegrini aumentano. Su la Tomba di Abba Jacob lo spirito umano, sfiduciato, va a ritrovare la forza di nuove speranze e ritorna alla vita familiare e sociale ritemprato nella sicura Fede che Iddio l'aiuterà a superare ogni angustia ed ogni tribolazione. Così Hebo, con il suo Santuario e le sue opere, sta diventando ogni giorno il più affascinante faro di Luce, di progresso, di fraternità, di bene di amore e di Fede della Cristianità fra il popolo Etiopico, come lo fu un giorno in vita l'Abuna Jacob.
Dott. Antonio Caputi


La missione di Hebo in Eritrea oggi, nelle pagine di un sito web che troverete a questo indirizzo: http://www.vincenziani.com/


18 Luglio 2007



HEBO, AGOSTO/OTTOBRE 1964

Brian Monahan e Lincoln Michaud, due giovani Americani di stanza ad Asmara negli anni sessanta, visitarono la Missione di Hebo almeno in un paio di occasioni e Lincoln, che scattò le foto qui sotto e che ringraziamo per la sua cortese collaborazione, guidava la sua Vespa. Incontrarono Padre Teta e i confratelli nonché le Suore e gli orfanelli della Missione e il ricordo di quelle visite, l'accoglienza ricevuta e l'incontro con i bambini sono ancora molto vivi in Lincoln. Brian, che compare a fianco di Pr Teta nella prima foto a sinistra, è mancato alcuni anni or sono.

Agosto 1964
Agosto 1964
Ottobre 1964
Tutte le foto © Lincoln Michaud - email: linc@zianet.com
18 Agosto 2007

A pagina 41
42
A pagina 43