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NATALE
 

Un nuovo racconto di Angra, tratto dalla sua raccolta Annone, Casimiri, Zaituni (2007), è il nostro piccolo regalo di Natale per quest'anno. Non è specificamente "natalizio" ma nel titolo e nell'atmosfera che racconta abbiamo ravvisato qualcosa che lo avvicina a queste feste. Ringraziamo Angelo per la sua gentilezza e a voi tutti auguriamo un sereno Natale e anno nuovo.
il C.

 
 

LA NOTTE
di Angra

Com'è bella questa notte. Così belle non ne avevo mai viste.
Una fresca luna crescente rende il cielo opalescente e le creste fosforescenti delle onde si spengono dolcemente sulla rena ancora calda dei raggi del sole.
Il mare è placido, come assopito, dopo le lunghe fatiche del giorno ed il vento si è trasformato in morbida brezza.
Il silenzio è rotto soltanto da una voce lontana, forse di un viandante attardato o di un solitario pastore che riconduce il suo gregge, e dal richiamo di qualche animale notturno.
Steso sulla riva guardo il cielo, il pallido spicchio di luna e le stelle immote come brillanti incastonati in una calotta di turchese e mi sento in pace con il mondo e con me stesso. Il peso dei quotidiani affanni si è dissolto nello spazio celeste come l'incenso del turibolo tra le navate.
E' la spiaggia di Mersa Gulbub. Lontana dalle città, lontana dalle grandi strade, lontana dai turisti incivili e fracassoni, lontana dalle rutilanti luci.
Soltanto grandi spazi deserti e noi. Un gruppetto di amici per una breve vacanza diversa, un desiderio di isolamento sempre latente e mai realizzato.
Davanti alla bellezza incontaminata della natura non c'è capolavoro umano che possa sostenere il confronto. Un beato e silenzioso lembo di terra dove non c'è traccia di lavoro umano. Non ci sono lussuosi alberghi né flessuosi palmizi. Non ci sono piscine a forma di fagiolo con cascatelle e rocce artificiali, non c'è vegetazione lussureggiante e neppure finte capanne-bar sulla spiaggia.
Parliamo sottovoce timorosi di rompere la quiete che ci ha penetrati profondamente, che ci permette di ascoltare nitidamente i palpiti dei nostri cuori, palpiti pacati, lenti e ritmici come il respiro della natura che ci circonda. Si percepisce come un afflato mistico, una linfa vitale, l'ineffabile sensazione di sentire la Terra vivere.
Poi, come se fosse scoccato un arcano segnale il gruppo si divide, le coppie si appartano e le voci tacciono per lasciare spazio a qualche sussurro, a qualche sospiro. La notte si è fatta più scura e la sabbia più fresca.
L'atmosfera è così pregna dei profumi del mare, della brezza, della vegetazione spontanea che si viene colpiti da un senso di stordimento come se avessimo assunto una droga inebriante e ci si lascia andare trasportati da una lieve corrente.
Fare l'amore sulla battigia nella candida complicità della luna con il sottofondo della musica del mare che bacia la riva, provoca un piacere estenuante, una gioia mai provata prima.
Com'è bella questa notte. Una notte da fiaba d'oriente. Una di quelle notti che accompagnano il carovaniere cullato nei suoi sogni e nelle sue speranze dal lento andare del cammello.
Una notte così bella non l'avevo mai vista. E non l'ho mai più vista.
Vorrei morire nell'incanto di Mersa Gulbub lontano dai riti consumati dal tempo, lontano da lutti e da pianti, tra le braccia di una natura amica con il mare ed il cielo che accolgono il mio ultimo respiro fondendolo con la brezza.
Troppo bello per avverarsi.

19 Dicembre 2007
 
 

L'ASMARINITE
di Elvira Romano Fenili

 

Era mia intenzione inviare, e per tempo, il mio messaggio augurale a tutti Voi per il tramite del nostro "Capo-rale" (come ama essere chiamato), invece mi sono attardata a riflettere sull' "asmarinite", su questa sostanza misteriosa che c'è in tutti noi, nati o comunque cresciuti laggiù, nel nostro magico angolo d'Africa e così ho perso del tempo prezioso.
Ma torniamo all' "asmarinite". Diversa dal "mal d'Africa" di cui abbiamo sentito parlare, essa non è un male, al contrario è un bene, soprattutto quando, come nel nostro caso, ha subito, strada facendo, delle "mutazioni chichingiolesche". E' anche vero che essa è fortemente contagiosa, su questo non ci sono dubbi, infatti è sufficiente il contatto, anche casuale, con un "chichingiolo".
Non è facile scoprire la composizione dell' "asmarinite". Sicuramente gli scienziati di tutto il mondo ci perderanno il sonno e come dar loro torto? Questo misterioso materiale risulta, infatti, possedere la capacità di allargarsi, di espandersi, di allungarsi e distendersi senza mai spezzarsi nè deteriorarsi.
Ed a noi tutti tocca il privilegio di goderne il risultato visibile che è anche innegabilmente molto entusiasmante. L'"asmarinite" costituisce il nostro comune denominatore. Ci unisce, infatti, tutti, ma proprio tutti ovunque noi siamo, dalla tundra siberiana, al gigantesco scudo canadese, dalla praterie nordamericane alle pampas più a sud, dalla nuda bellezza delle nostre ambe e della savana africana, alle distese infinite dell'Asia, dalla vecchia Europa alla più giovane Neo-Zelanda.
E' un materiale meraviglioso perché si rigenera costantemente, alimentato da aspettative, ricerche e speranze mai deluse, perché affonda le sue radici nel mondo affascinante, misterioso, quasi mitico in cui siamo nati e cresciuti, dove una promessa verbale era meglio di una dichiarazione notarile, dove una stretta di mano sigillava un contratto, dove un sorriso era franco e leale, e l'amicizia non nasceva dall'interesse volatile, passeggero e pragmatico, ma dall'affetto solido, costante e duraturo.
Non occorre certo essere degli scienziati per poter affermare che l"asmarinite" è sostanza rara e preziosa. Il mio augurio è che noi, Chichingiole e Chichingioli, consci di tale privilegio, possiamo continuare a goderne gli effetti vita natural durante.
A questo augurio aggiungo anche quelli di un sereno Natale e di un prospero 2008.

Elvira Romano
Natale 2007

20 Dicembre 2007

Pensieri sul ...
CAPODANNO

Il veglione di Capodanno era un evento che coinvolgeva tutti, giovani e meno giovani, un gala dove si condivideva tavolo e cotillon con genitori e amici, zii e cugini e a volte anche nonni.

Pigiami Palazzo, abiti lunghi o mini con lustrini per le dame, smoking, abiti scuri o giacche damascate “Guru” per i cavalieri. Con temi più estivi, pur mantenendo la giusta eleganza, se ci si trovava a trascorrerlo a Massaua. Tutto bello, tutto perfetto e, per “quella” notte, era anche consentito attendere l’alba.

Si dedicava molta attenzione alla mise per la serata, alla pettinatura. La tensione emotiva descritta ne “Le Feste!” era qui al suo culmine, perché si trattava della “Festa” per eccellenza. Che fosse più o meno ragionevole è opinabile solo in relazione all’età che abbiamo oggi, ma riandiamo con la mente all’età in cui avevamo particolarmente bisogno di essere rassicurati che l’immagine riflessa nello specchio ci restituisse un look soddisfacente!

***

Ripensando ai capodanni andati e a quelli Giuliani festeggiati allora dagli eritrei, mi rendo conto che il calendario Giuliano quest’anno ha festeggiato il Millennio in settembre! Ma com’è che non me ne sono ricordata? Mi si insinua un senso di colpa. Come ho potuto dimenticare, aver trascurato un evento così importante per la terra che mi ha dato i natali e che è, e sempre sarà, nel mio cuore? Allora pigio sulla tastiera “navigando” in cerca di informazioni. Trovo con sorpresa che l’Eritrea è passata al calendario Gregoriano, come dice in un’intervista Sua Eccellenza Berhaneyesus Souraphiel, Arcivescovo di Addis Abeba, per cui il Giubileo lo festeggia solo l’Etiopia, unico paese al mondo che non l’aveva ancora celebrato. Ma quando è stata fatta questa scelta? Forse già nel 1993 all’epoca dell’indipendenza? Non lo sapevo, realizzo che ho peccato di trascuratezza e me ne dispiace. Ci passano accanto tante cose alle quali non possiamo o non vogliamo dare retta, lasciandole scivolare via nel silenzio, senza permettere loro di disturbare la corsa verso tutto ciò che chiamiamo la nostra civiltà.

Ci…viltà l’ha chiamata Manfred, realisticamente amaro.

Mi scorre nella mente una carrellata di volti eritrei e mi chiedo quanto sia loro dispiaciuto rinunciare a celebrare il Capodanno nel mese di Meskerem, quando l’altopiano si copre di margherite gialle, quando gli uccelli cambiano divisa e indossano le loro piume più belle e colorate per la stagione degli amori, quando la tradizione vuole che si accendano i tronchi di euforbia e al grido di hoiè hoiè ci si purifichi auspicando un nuovo anno felice, per finire con il damerà che completerà gli auspici e i festeggiamenti... uno strappo alle usanze, a quei costumi coerentemente collocati da un popolo dall’economia storicamente rurale nel mese del rinnovo della vita.

***

E fantasticare di poter ri-festeggiare il Giubileo del 2000 con un salto indietro di 7 anni?

Poter rivedere il sorriso di chi se ne è andato, sapere le Torri Gemelle ancora intatte, tacere le parole sbagliate che ho esternato, dedicare meglio il tempo che ho sciupato, donare i sorrisi che ho trattenuto, ringraziare adeguatamente chi mi ha dato senza chiedere... forse troppo ovvio ma piacevole da immaginare. E che ne sarebbe allora delle cose belle successe negli ultimi 7 anni? Se ciò comportasse perderle, no, allora mi tengo tutto, cose belle e brutte, tesaurizzandole una per una e, come dice Elvira nel suo HOIE', HOIE' “possa la fiaccola del nostro entusiasmo non estinguersi mai”!

Che il 2008 ci porti generosamente tutto ciò che più ci sta a cuore. Auguri!

D.

31 Dicembre 2007


RITORNO AL FUTURO
di Eloisa Mania

 

Era l'ottobre del 1974 quando lasciai per un viaggio, divenuto poi senza ritorno, la mia Africa. Carica di speranze per l'avvenire e ignara del destino che mi avrebbe strappata da quella che sentivo la mia "terra" d'adozione, arrivai in Italia per affrontare gli studi universitari. Mi iscrissi a Scienze biologiche che mi entusiasmò fin dalle prime lezioni: era la vita, era avvicinarsi al miracolo dell'esistenza, dal micro al macro.
Ma gli studi che, come ho detto, sarebbero dovuti essere una parentesi da concludersi con la laurea e il ritorno ad Asmara, segnarono la fine del capitolo della mia vita legato a quella terra. I tragici fatti del '75 diedero inizio ad una guerra fratricida e la mia famiglia rimpatriò. Così il destino prese un altro corso e fummo tutti costretti a ridisegnare il nostro futuro. Un futuro che sembrava non prevedere alcun ritorno.
Ma non sempre le storie si concludono. Per me, negli ultimi anni si è riaperto un ponte con quel passato. Proprio il mio lavoro di biologa, in particolare di citologa specializzata nella prevenzione di malattie legate all'apparato genitale femminile, mi ha portato a conoscere un progetto di cooperazione decentrata con l'Eritrea. E, da quella che sembrava un'ipotesi impossibile è nata una concreta realtà. Ho aderito e mi sono impegnata nell'articolazione delle diverse fasi dell'iniziativa e alla fine di settembre 2007 sono partita per Asmara per dare corso al progetto assieme ad un Team composto da sei professionisti.
Non è mia intenzione entrare nello specifico dello stesso, ma invece tratteggiare il mio singolare riapprodo nei luoghi della mia infanzia e giovinezza rivivificati dal presente.
Innanzitutto l'incontro con Azieb, amica d'infanzia di mia sorella, che mi ha accolto con entusiasmo condividendo con me la gioia del ritorno e dell'emozione dell'essere di nuovo lì. Con Azieb, alla quale si sono aggiunte Meheret e Aregasc, anche loro compagne di classe di mia sorella, abbiamo assaporato lo zighinì e partecipato al rito del caffè. Sapori e riti unici, difficili da descrivere e dimenticare!
Un rito meno caratteristico ma che abbiamo vissuto quotidianamente è stato quello del cappuccino con brioche al mattino al bar Vittoria quando si mescolava al forte sapore del caffè locale la straordinaria bellezza del luogo non contaminato dal tempo, rimasto intatto da più di mezzo secolo. E questo, lo sa bene chi ha visitato Asmara, può dirsi di tutti i luoghi della città.
Certamente l'impegno centrale era la realizzazione del progetto all'ospedale: i corsi da tenere, il personale da istruire, gli allievi da formare. Questi ultimi così entusiasti nell'apprendere e nel corrispondere a qualsiasi richiesta che hanno rinnovato in me la passione per la mia professione.
Ad accompagnarmi fuori, ricucendo i miei rapporti con i luoghi e le persone, è stato il fedele tassista Fafà che ha adottato me e il mio gruppo dedicandoci tutto il suo tempo. Tappa obbligata è stata una visita al cimitero dove sono sepolti dei miei cari e amici mai dimenticati (sì, Loredana, non ti ho mai dimenticata) e anche qui ho avuto una guida d'eccezione nello sfogliare i vecchi registri cimiteriali: il custode del luogo, un custode della memoria e della lingua (parlava un italiano quasi perfetto)!
Rapporti nuovi e vecchi si sono intrecciati in quello che è stato quasi un mese di permanenza. Sono, infatti, andata alla ricerca di alcune delle persone che più di trent'anni fa avevo lasciato. La ricerca ha dato frutti insperati: ho rivisto il mio e nostro istruttore di tennis, Sereké, che mi è sembrato non scalfito dal tempo neanche nella memoria dei suoi allievi, dei quali ricordava tutto, come se fosse accaduto il giorno prima, e di quanti frequentavano da sportivi il circolo di tennis…., tra cui mio padre.
Non è stato l'unico: tra gli altri Ghirmay e le sue riviste, Maconnen fotografo di Foto Eritrea mi attendeva tutte le mattine all'ingresso dell'ospedale per salutarmi ed offrirmi un caffè, altri per me ancora senza nome, mi hanno riconosciuta e ricordata.
Un viaggio, si potrebbe dire, alla ricerca delle origini perdute, un ritorno al passato che però, legato al presente del progetto, è divenuto un probabile, effettivo e auspicabile "ritorno al futuro".

 
3 Gennaio 2008


 
IL COCCODRILLO
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Se la memoria non mi tradisce, erano gli anni tra il '60 ed il '70. L'allora Presidente Americano J. F. Kennedy, con decreto presidenziale, stabilì che i futuri militari potevano sostituire il sevizio di leva con impegni di sostegno umanitario a popolazioni diseredate del terzo mondo, istituendo il "Peace Corps" che consentiva l'invio di parecchie centinaia di giovani americani con destinazione ai questi paesi allo scopo di alfabetizzare le genti dei villaggi, fornire un sostegno morale e, per quanto possibile, anche materiale.
In quel periodo, mi trovavo occasionalmente nella zona dell'Omo Bottego dove si effettuavano rilevamenti topografici per una erigenda strada, quando giunsero una decina di ragazzi americani del "Peace Corps" che allestirono il loro campo proprio prospiciente il cantiere vicino al fiume Baro.
Ovviamente da subito si instaurò un rapporto di amicizia e, per quanto il mio Inglese fosse parecchio maccheronico, cercai di soddisfare tutte le curiosissime domande che i ragazzi mi ponevano: sul territorio, sulle condizioni climatiche, sugli abitanti del luogo, sulla flora, sulla fauna e le loro esclamazioni di sorpresa "Wow" si sprecavano. Data la loro giovane età e l'entusiasmo di trovarsi al limite del mondo, in Africa, l'alfabetizzazione e tutti gli altri impegni passavano in secondo piano per dare prevalenza a safari e battute di caccia, sebbene il loro armamento fosse rappresentato da carabine calibro "22" e qualche vecchio residuato di pistola a tamburo.
Passando dalla zona, una guida turistica e cacciatore di professione (Franco, se non erro) che accompagnava una comitiva turistica, notata la presenza degli euforici ragazzi americani, raccomandò loro di non azzardarsi a fare il bagno nelle acque del fiume Baro, aggiungendo che vi si trovava un enorme coccodrillo cannibale che già in altra occasione aveva attaccato un'imprudente bambina del posto dilaniandola. Gli sprovveduti ragazzi spavaldamente ridicolizzarono l'informazione dichiarando: "we don't care; we are not afraid"...
Franco rinnovò ancora una volta il suo consiglio; poi vista l'indifferenza degli interessati si allontanò. I ragazzi, volendo dar prova del loro infondato coraggio, di lì a poco si immersero nel fiume raggiungendo a nuoto una piccola isola semicircolare al centro del fiume dove sedettero in cerchio, lasciando penzolare le gambe nell'acqua torbida e limacciosa, schiamazzando. Pochi minuti dopo, un ragazzone di 1 e 80, attanagliato ai piedi dalle fauci del coccodrillo, in un baleno, senza poter proferire parola, fu trascinato su fondo del fiume. I compagni terrorizzati, annaspando spaventatisimi, riuscirono a raggiungere la riva e armarsi delle loro inefficienti carabine e pistole con la pretesa di poter uccidere il famigerato, vorace coccodrillo.
Franco, allertato dell'accaduto, si precipitò sul posto ed impose di non sparare un sol colpo, altrimenti se l'animale si fosse inabissato ferito avrebbero potuto perdere il cadavere del giovane. Garantì che avrebbe ucciso lui stesso il coccodrillo essendo armato di carabina "3006" che poteva penetrare la spessa pelle dell'animale e perlomeno recuperare il corpo del giovane. Quello stesso pomeriggio, ebbe l'occasione di vedere il grosso rettile dall'altra sponda del fiume, dove sotto alcune mangrovie, a bocca aperta stava digerendo il malcapitato. Un singolo colpo con una palla espansiva colpì alla testa il mostro che chiusa la bocca morì all'istante.
Le autorità della polizia, dell'Ambasciata Americana e del Reparto Sanitario di Addis Abeba, vennero immediatamente avvertite via radio e di lì a poco raggiunsero il posto con l'ausilio di un elicottero militare. Trainato sulla sponda opposta, al mostruoso rettile da 4 quintali venne aperto il ventre e i resti smembrati del giovane furono recuperati e inviati alla famiglia in America.

Vincenzo Acquaviva

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8 Gennaio 2008

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