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TUMBARU

 

Carissimo Kikki,
Il carretto passava e quell'uomo gridava... tumbaru!!!
Sono in Gambia, terra di Kunta Kinte, il progenitore di Alex Haley che alla ricerca delle proprie origini ha scritto il libro Roots/Radici. Come ben sai, che sia Nord, Sud, Ovest o Est Africa, sempre Africa è e io provo quel profondo senso di appartenenza che mi sorprende ogni volta che metto piede in questo continente e, al solito, un sacco di cose mettono in moto i ricordi della "Mia Africa" natia.
Aspetto le 5 del pomeriggio per andare al molo dei pescatori che rientrano con le barche colme di pescato fresco. Vorrei un barracuda, dalla bella carne bianca: con metà preparerò del ceviche marinato al lime, mentre il restante lo cuocio al forno alla greca. Sto contrattando, come si usa al mercato, sul prezzo del pesce (fammi il prezzo dei residenti, non trattarmi da turista, etc etc) quando passa un carretto e l'uomo non grida "gelati" ma...tumbaru.
Non posso crederci: tondi piccoli gustosi chichingioli mi ammiccano dai loro sacchetti!!! Fermate tutto: uomo del carretto, come hai detto? Tumbaru? Ma questi sono i chichingioli, capisci, chi-chin-gio-li! Lui sorride a questa attempatella turista balzana che va in sollucchero di fronte agli umilissimi fruttini... ma il mondo è bello perché è vario, pensa lui, e fintanto che ci sono turisti, per pazzoidi che siano, benvengano! Lo pensa anche il pescatore, al quale finisco di dare la somma richiesta senza ulteriori negoziazioni.

D. nella terra dei tumbaru.

Torno a casa e verifico l'esattezza del nome: googlando mi imbatto in Tumbaru, una divinità della mitologia Hindu, il miglior cantore esistente. Voglio trovarci un nesso… difficile. Ma, potenza di Google, alla fine lo trovo ayurvedicamente annesso a zizyphus jujube! Ci siamo, l'e' lu'! Aggiungiamo un nuovo nome all'elenco dei nomi.
La stagione dei mangus è fra qualche mese, mentre adesso trovo abbondanza di papaie profumate e saporite. Colazione, dessert, merenda a base di papaia.
I babobab sono carichi di dillep e faccio anche una foto perché mi piace molto sentirmi magra al suo regal cospetto! Imparo che con la polpa, che qui chiamano boue, fanno lo sciroppo di dillep, squisito e ricco di vitamina C e calcio.
Riesco anche a cogliere alcune plumerie rosa che metto in una ciotola, nella quale tuffo il viso beandomi della loro fragranza.
Sono tornata a Kachikally, lo stagno dei coccodrilli (ne abbiamo contati una trentina) e fa sempre un certo effetto. Assomigliano ai loro cugini che pigramente si ricaricano di energia al sole sulle rive dell'Awash.
Ma siamo alla fine della vacanza e l'Epifania le feste porta via. Nella calza della Befana 2012 per il mondo Kikki in piena condivisione metto i chichingioli, il barracuda, il coccodrillo Charlie, il baobab carico di dillep e la plumeria con il suo fresco dolce profumo.
A presto
D.

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Cara D.,
Sicché a Ovest saremmo dei Tumbari. Te l'immagini il Raduno Annuale dei Tumbari? Fantastico! Annoto e sorrido, sospettoso, eppure la foto parla chiaro: sono proprio dei nostri. Siamo gemellati coi Tumbari, non si scappa. Nell'anno dei Maya. Adesso diranno che pontifichiamo pure sugli umili chichingioli. Ayurvedicamente parlando, ovvio.
Il Lord Tumbaro

 

7 Gennaio 2012



 
 
Ove si narra, fra capitoli e fantasmi, di strane avventure in miniera e non.
Cliccate sul titolo per scoprire l'avventura.
 

 
13 Marzo 2012



 


IL TÉ DELLA SIGNORA B.

La prima casa che abitai ad Asmara era accanto a un bordello. Però io non lo sapevo e, peggio ancora, non lo capivo; eppure, ogni giorno, e specie nei pomeriggi di domenica, una fila di belle ragazze salivano una alla volta o in gruppi di due o tre seguite da un uomo, o due, o tre, la scaletta della palazzina accanto al Moka Bar.
"Sono le sharmutte, le lavoranti della sartoria" diceva mio marito. "Prendono le misure ai clienti". Eravamo nel 1968 ma lui mi teneva nella pudica ignoranza che più si addice a una sposina 1930.
Del resto Giancarlo Laborero - che era stato ad Asmara da turista - l'aveva detto quando seppe che ci andavo: "Asmara... oh... Asmara, una città addormentata come Caltanissetta nel 1930" e questo detto da un uomo che dichiarava, forse citando qualcuno, che "l'occhio del turista non è ricettivo".
Ognuno ha il suo punto di vista. Infatti il dottor Setti... ah!... il dottor Setti, il nostro medico di famiglia, donnaiolo mondano, fotografato su OGGI accanto alla contessa Bellentani in smoking bianco, Villa d'Este, 1946, pizzicatore di ragazzine in fiore (ne sapevo qualcosa), disse invece:
"Asmara!?..ma sei pazza portare una bambina di un mese ad Asmara??.. lì c'è la malaria e tanti mali che riempiono una Treccani delle malattie. Credimi, so di cosa parlo, ci ho fatto la guerra d'Africa".
Ma ormai eravamo nel 1968.
Sì, perché ad Asmara ci arrivai una mattina di gennaio nel 1968. Una borsa apposita conteneva una figlia di trenta giorni, e le sharmutte le vedevo salire le scalette mentre l'accudivo, spiandole attraverso il traliccio di legno che racchiudeva su tre lati l'enorme terrazza del nostro appartamento sopra al Moka Bar.
Il Moka Bar lo teneva una benevola coppia veneta, arrivati nel 1937 e rimasti "insabbiati", lei una biondo-cenere, ossigenata convincente, di una certa età ma ancora appetibile. Lui, ecco... me lo ricordo come uno di quei camerieri delle terrasses parigine, in bianco e nero: con pantaloni e panciotto neri e un grembiule bianco lungo fino ai piedi, biondo-rossastro, calvizie incipiente, con i baffi... sarà così?
Un posto simpatico il Moka Bar, frequentato da decorosa gente alla buona, una specie di osteria di buon tono dove alle volte scendevo anch'io, asmarina accidentale, non a prendere il caffe!, ma a chiedere, questo o quel consiglio alla Signora, che, materna, mi trattava come una figlia minorata. Era la nostra padrona di casa a cinquanta dollari USA mensili.
Anche le sharmutte lo frequentavano ed era lì che incontravano i clienti da misurare. Non avevo capito nemmeno che anche il bordello era della benevola coppia veneta. Bisogna pur arrangiarsi in tutti i modi alla fine di un'era coloniale, con una patria sconosciuta dove non si può o non si vuol tornare.
Di italiani, ad Asmara, ci erano rimasti o gli oscenamente ricchi - ce ne erano parecchi - o i nostalgici incurabili, o i disperatamente sprovvisti che si chiamavano "insabbiati" o la vecchia "aristocrazia" coloniale arrivata dopo Adua, i coloni che non avevano più una lira, ex- proprietari di grandi piantagioni dove avevano buttato non solo il sangue degli eritrei, ma anche il loro, anche loro rimasti insabbiati, anzi insabbiatissimi che la loro patria d'origine certi la conoscevano solo attraverso vecchie fotografie del tardo Ottocento in cui si intravedeva, come spiegava, mostrandomele senza affettazione, la vecchia duchessa Santorino, "A destra mia madre con sua cugina, la marchesa Caciotti, a Salsomaggiore nel 1890..." seguite da: "Questa è la piantagione nel 1901... questo in camicia con la zappa, è mio suocero... avevano appena cominciato a sterrare, certo!.. (davanti alla mia sorpresa che un duca zappasse la terra)... lavorava anche lui sulla terra!". Poi c'erano le fotografie dell'ex palazzo di famiglia, via Toledo 1870, o quella della duchessa nonna a un ricevimento di Margherita (l'Augusta Sovrana).
A questi non era rimasta nemmeno una soffitta nel palazzo ducale né i soldi dell'aereo per tornare in patria e in più amavano appassionatamente il loro paese d'adozione, in cui volevano morire. Pochi, riservati e discreti si tenevano in disparte, schivi di mondanità, evitando la società dei nuovi ricchi, imprenditori arricchitisi durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Col passar del tempo mi resi conto che allora - quasi cinquant'anni fa - la società di Asmara era a suo modo congenialmente integrata nel senso che, provvisto che ogni colore stesse col suo, bianchi e neri convivevano sopportandosi e/o ignorandosi a vicenda.
Non c'erano rancori. Gli eritrei mica avevano macellato gli italiani come i Mau-Mau gli inglesi in Kenya, e i vecchi eritrei dicevano "si stava meglio con gli Taliani" Adesso, nel 1970, andavano a scuola insieme, separati non dal colore ma dalla classe: quelli bene, bianchi e neri (quattro) al Liceo Martini, il resto neri (tanti) e bianchi (alcuni) all'Istituto tecnico Bottego per geometri e ragionieri. Che al Liceo ci fossero più bianchi e all'Istituto più neri sembrava solo la conseguenza di un accettabile incidente cromatico.
Molti italiani avevano sposato donne locali, bellissime, eleganti, femminili, che non erano ben viste e ancor meno ben ricevute, che poi è tutto relativo: la principessa congolese Obango (ex educanda del convento delle Orsoline di Namur) sposata a un de Brabant belga, a Lubumbashi, dove vissi in seguito, era ricevutissima.
Fu ad Asmara che scoprii il peanut butter. Me ne regalava un vasetto dietro l'altro Kate Turner, la giovanissima moglie di un sergente di Radio Marina ovvero Kagnew Station la stazione di "ascolto" americana. Era una stazione radio talmente potente che la ricevevano persino in Brasile, Australia e Finlandia. Da ascoltare c'era: per il pubblico asmarino il rock-and-roll che ci scodellavano a lunghezza di giornata, per gli americani quello che si dicevano fra loro i sovietici.
Allora di peanut butter ne potevo mangiare interi vasetti, infatti lo mangiavo a cucchiaiate, direttamente dal vasetto, il mio metabolismo di trentenne li smaltiva come acqua fresca e Kate continuava a regalarmene, arrivato direttamente dagli States. Gli americani, si facevano venire tutto dagli States, anche le uova e il pane.
Erano i tempi delle minigonne: Kate ne portava di ultramini che, quando si chinava, per prendere in braccio la figlia infante, permettevano di ammirare una vasta gamma di mutandine di colore assortito al vestito.
La buona società locale italiana, di industriali e imprenditori, era organizzata e dominata dalla molto, ma molto bene Signora B., un'esile biondina, attorno ai quaranta, dalla languida dolcezza perentoria che monologava le idee più reazionarie che, una come me allevata a Bologna, culla del socialismo, avesse mai udito.
Con la Signora B. non si dialogava: si ascoltava e si assentiva. Frequentava i ricchissimi salariati americani della Shell, che cercavano il petrolio nel Mar Rosso.
Erano i VIPs locali. Le americane amavano dare cene a lume di candela che mi mettevano di cattivo umore perché essendo miope, anche con gli occhiali, non vedevo cosa avevo nel piatto che, alle volte, conteneva cose sorprendenti.
Noi non eravamo VIPs, magari lo sembravamo ma non lo eravamo. La Signora B. mi aveva incontrata ad uno dei frequenti party dei petroliferi americani ai quali mio marito era invitato perché lavorava al Servizio Geologico Eritreo, e, forse perché parlavamo inglese, aveva scambiato il mio consorte per uno di loro.
Seguì un invito a un tè in casa sua. Anche se avevo qualche esperienza del bel mondo, avendo tre cognate (acquisite) aristocraticissime (la madre di una di loro mi aveva dato, come usava una volta, una lettera di presentazione per la duchessa Santorino, sua antica compagna di collegio a Poggio Imperiale) e dodici zie (acquisite anche loro), nobili veneziane, che mi trattavano eroicamente come una di loro, io ero una petite (très petite) bourgeoise e non ero mai andata a un té delle cinque. Potrei dire che accettai l'invito per entrare nella buona società asmarina. Mentirei. La Signora B. mi aveva intimidita, non ero stata capace di rifiutare, ecco la verità.
Mi preparai nell'angoscia. Infine, dopo aver cambiato abbigliamento almeno sei volte, optai per un modesto tajerino di lino rosa impreziosito da due bei gioielli: un anello con un diamante di un carato e mezzo (Stern, Sudafrica) e una collana di perle verissime a due giri (regalo di nozze) che, da quando ne ero entrata in possesso, mi facevano sentire una tigre mondana.
Arrivai con mezz'ora di anticipo. Aspettai l'ora giusta nascosta dietro ad una siepe finché, dalla paura di essere scoperta, mi presentai, ancora in anticipo, al cancello della sontuosa residenza della Signora B. Ero la prima. In attesa delle altre invitate, che arrivarono in ritardo, mi intrattenne bonariamente, riponendo in un armadio, i libri scolastici delle figlie adolescenti, che andavano al Liceo Martini (naturalmente). Era di luglio e le scuole erano appena finite: "E questo lavoro tocca sempre a me" diceva, prendendo in mano i libri uno alla volta, sospirando lievemente, con rassegnazione, con lo sguardo di una santa Maria Goretti.
La signora B. aveva una voce dolcissima, ben modulata, melodiosa. Parlava quasi sottovoce, lentamente.
Faceva domande retoriche che non aspettavano risposta. Io invece parlavo con la voce strozzata e non sapevo cosa fare e cosa dire. Cercai maldestramente di aiutarla a riporre i libri. Eppure, dannazione, anche se acquisita, ero pur sempre la cognata di una Melzi di Milano, di una Siccardi di Torino e di una Trigona di Palermo. Non-serviva-a-niente!
Dal piano di sopra le figlie suonavano a tutto volume "Monday... Monday" dei Mamas and Papas, una canzone che mi ricorda sempre e ancora quel momento.
Arrivarono le altre invitate. Tutte copie della Signora B., che nel frattempo si era assentata. Sedute in salotto, fra i soliti convenevoli introduttivi, una di loro così, en passant, senza intenzioni esibizionistiche, solo perché parlando agitava la mano sinistra nel vuoto, mi sventolò sotto al naso un diamante di almeno trenta carati (dico trenta per dire quanto era grande).
La signora B. ritornò in salotto e alle affrettate presentazioni iniziali, quasi a giustificare la mia presenza fra loro, aggiunse languidamente: "Il marito della signora P. lavora per la Shell..."
Io, incauta, precisai: "No, veramente lavora al Servizio Geologico Eritreo".
Dopo un attimo di silenzio: "Ah! sí?...." ribatté gelida la Signora B., con una voce metallica, fissandomi con la sorpresa di chi trova un verme in una bella mela, stupita che una pariah sociale, du coté noir, fosse seduta nel suo salotto.
I miei ricordi si fermano a quei due monosillabi e a quello sguardo. Chiaro, non mi mise alla porta, ma, di certo, fu il solo té della Signora B. a cui fui invitata.
Però devo dire che se m'incontrava per strada mi salutava, possibilmente da lontano.
Dolcissima Signora B., non ti ho mai dimenticata.

©Anna Levi - Istanbul 2012

24 Marzo 2012

 

Caro Chichingiolo,

mi riferisco all'articolo "Il te della signora B.", ben raccontato dalla signora Levi che ha descritto con leggerezza l'atmosfera di quell'epoca, nonché i vizi e le virtù; desidero, tuttavia, rilevare che, nella descrizione sono presenti profonde inesattezze.

Nel 1968, infatti, il Moka Bar, all'angolo fra Avenue Hailè Sellassiè e via Daniele Comboni, era gestito da una signora di una certa età, di nome Rosina, di assoluta e provata serietà. L'edificio sopra il bar aveva il portone in via Daniele Comboni 4: al piano rialzato abitava la famiglia del Dott. Patti, al primo piano e, in parte del secondo, operava la Pensione Principe, di proprietà dei rispettabilissimi signori Maria e Giovanni Gerazounis, frequentata da famiglie che abitavano nell'interland di Asmara. Sempre al secondo piano abitava la famiglia Lissoni e al terzo, e ultimo piano, cioè l'attico, viveva la famiglia Palmieri.

Volevo assicurare la signora Levi, che di donne di male affare non c'era neanche l'ombra; può accadere che con il passare degli anni i ricordi si appannino e, sicuramente, c'è stata, da parte della signora, un po' di confusione.

Federica Palmieri

29 Marzo 2012


 

Dopo quattro anni anche per mantenere i contatti, mi permetta di rispondere alla gentile lettera della signora Federica Palmieri del 29 Marzo 2012, che ringrazio dei commenti

Il caffé di cui parlo nel racconto "Il té della signora B" e l'unico appartamento sovrastante esistevano veramente come li ho descritti, ma il nome l'avevo scelto di fantasia (caffé=Moka, Moka Caffé) non immaginando che ne esistesse uno veramente giustificando il comemnto che con il passare del tempo i ricordi si appannano

Una versione ampliata e revisionata del racconto é stata pubblicata in questi giorni in una raccolta intitolata proprio "Il té della Signora B. " di Anna Levi.

Cordialmente e sempre con nostalgia
Anna

27 Settembre 2016




 
IL "MAI TACLI'", LA PASQUA 2012 & LA MALINCONIA
di Daniela Toti
 

 

Caro mondo Kikki,
leggendo i saluti di Melani nell'ultimo Mai Tacli, con una punta di malinconia vedo concludersi un'altra pagina della nostra storia.
Non mi coglie di sorpresa perché già durante il raduno Mai Tacli/Chichingiolo il tema era avvertibile, fatto è però che non si può negare la malinconia.
Io chichingiola mi sentirò un po' orfana, e ripenso all'emozione di quando Rodolfo Tani mi ha persuasa a scrivere il mio primo pezzo.
Ripenso anche a quando Mai Tacli ha incoraggiato una fusione nei raduni, quasi un passaggio del testimone, senza però che la cosa si concretizzasse, in conformità con una certa logica generazionale…
Melani e i suoi collaboratori hanno pubblicato il Mai Tacli per 36 anni, instancabili ed entusiasti.
Un applauso grande e un grazie immenso per tutto ciò che ha saputo e voluto darci.
Il Chichingiolo è entrato in sordina nel decimo anno, con i Chichingioli forse troppo impegnati altrove per ricordarlo oppure, loro malgrado, con quell'incipit di smemoratezza …
La smemoratezza che oggi ravvisiamo nei nostri genitori e che loro invece vivono così:

Se un giorno mi vedrai vecchio: se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi …
abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo.
Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose … non mi interrompere … ascoltami.
Quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi.
Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare …
ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno.
Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico.
Ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l'abc.
Quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso …
dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non ti innervosire …
la cosa più importante non e' quello che dico ma il mio bisogno di essere con te ed averti lì che mi ascolti.
Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo,
non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti
nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.
Quando dico che vorrei essere morto … non arrabbiarti:
un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo.
Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.
Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te, che ho tentato di spianarti la strada.
Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza,
dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l'ho fatto per te.
Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza.
In cambio io ti darò un sorriso e l'immenso amore che ho sempre avuto per te.

Mi piacerebbe sapere chi ha scritto questa meravigliosa lettera che ho trovato in rete e che voglio condividere con voi, nell'augurarvi una S. Pasqua serena.

D.

 

8 Aprile 2012



 
MAL(ANNI) D'AFRICA
 
 

Oggigiorno porre rimedio agli acciacchi è un gioco da ragazzi. Tanto per dire, non c'è più il disinfettante o la siringa di una volta, oggi con i PMC ovvero i presidi medico-chirurgici basta il nome ed è fatta.
Per controllare i vertebrati e gli invertebrati, i molluschi e gli artropodi si acquistano i biocidi che tengono d'occhio e prevengono anche gli slimicidi e non sono, come invece verrebbe ingenuamente da pensare, esenti da tariffe.
Se una volta c'era il DDT (paradiclorodifeniltricloroetano) che nella nostra incoscienza chiamavamo il Flit, oggi abbiamo gli insettorepellent
i o, se operate in economia e sostenibilità, aggeggi dalla funzione illimitata che, una volta inseriti nella presa di corrente, sbaragliano i parassiti nel raggio di duecento metri quadri; poi ci sono i principi attivi (che forse una volta avremmo studiato solo in filosofia) e le liste positive là dove forse ci sarebbe stata una semplice aspirina; c'è la mitigazione del rischio e, sorpresa!, animali non bersaglio. E per la bait station o i blocchi paraffinati come la vogliamo mettere? Per non dire di eccipienti come il cocoile caprilocaprato o il profumo cream 45, il (o la?) macrogol cetostearile etere o tutta quella roba cremosa, omogenea, soffice da conservare a tot temperatura, fuori dalla portata ma soprattutto dalla vista dei bambini.
Oggi è veramente tutto facile e se proprio ci sono dubbi, nel caso di eruzioni miliari di follicoline per esempio, ecco i foglietti illustrativi che quei dubbi li sciolgono come la neve al sole. Mica come una volta che, avvicinati da una anziana e dignitosa signora Eritrea, ci sentimmo chiedere "un chinin" per porre riparo a un fastidioso mal di pancia.
Altri tempi, insomma, che ci sono stati rinfrescati quando Paola Cirigottis ci ha sottoposto

I 10 RIMEDI (E I SEGRETI) DI NONNA GEMMA

che, come un cerotto medicato da 180 mg di idrossietilpirrolidina, applichiamo alla memoria. Eccoli, con l'ovvia avvertenza di rispettare le istruzioni riportate e tutte le precauzioni per l'uso.


  • ANTIFEBBRILE: "CAUSIT O ASPRO" E UNA TAZZINA DI CAFFE'.
  • STIPSI: OGNI 2 SETTIMANE LIMONATA "ROGE'" AL MATTINO A DIGIUNO, GUSTO LIMONE/ARANCIO, PER PURIFICARE L'INTESTINO DAI MICROBI. (CON L'EVOLUZIONE FARMACEUTICA SI PASSO' AI CLISTERI CON ACQUA E SAPONE…)
  • MACCHIE BIANCHE SUI DENTI E SULLE UNGHIE: CICLO DI PUNTURE DI CALCIO DAL MITICO INFERMIERE NICOLA CATENARO CON SIRINGHE DI VETRO STERILIZZATE NEL PENTOLINO DI ALLUMINIO.
  • PLACCHE IN GOLA: "BLU DI METILENE" TAMPONATO PURO CON BENDAGGIO DI GARZA SULLE TONSILLE AMMALATE.
  • TAGLI SANGUINANTI DA CADUTE: DISINFETTANTE "DETTOL" PER PULIRE E POI CUCCHIAINO DI ZUCCHERO PER FERMARE IL SANGUE.
  • ESTRAZIONE DI UN DENTE: PRIMA DAL DENTISTA "Dr ADIEH" . A SEGUIRE DA "TAGLIERO ALIMENTARI" PER PANINETTO AL LATTE FARCITO CON PROSCIUTTO COTTO.
  • AFONIA: TAZZINA DI CAFFE' CON UN CUCCHIAINO DI PEPE.
  • DIARREA: RISO, ACQUA E LIMONE IL TUTTO BEN COTTO, TRE VOLTE AL GIORNO.
  • CONTRO IL MALOCCHIO: MAI TAGLIARE LE UNGHIE DI SERA E MAI IL VENERDI'.
  • PEDICURE: BAGNI CON "SALTRATI RODEL".

25 Aprile 2012


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