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NATALE 2013
 

Auguri di buone feste a tutti!
il C.

Auguri di buone feste a tutti e particolari al nostro Capo Chichingiolo, che con passione e determinazione, ci tiene sempre uniti!
Buon Natale, Alessandra
Buon Natale e Felice Anno Nuovo
Nicola di Paolo
AUGURO A TUTTI VOI IL PIÙ SERENO NATALE ED UN FELICE 2014!
Franco Preci
Giungano a Tutti Voi in occasione delle festività natalizie i nostri più sentiti auguri di ogni bene e serenità.
Paterlini Sofia e Ciaglia Luciano

A tutti voi auguro un buon natale e un felice anno nuovo.
Roberto Buffoli
(18/12/2013)

Auguri a tutti i “chichingioli” sparsi per l’ Italia e per il mondo, e un augurio particolare al Gran Capo Franco e alla Grande Daniela, sempre disponibili, sempre in prima linea. Un abbraccio.
Vittoria e Ninni
A tutti gli Asmarini gli Auguri di Buon Natale e Buon Anno Nuovo.
S.M.
(22/12/2013)
I migliori auguri di BUON NATALE e felice ANNO NUOVO a tutti gli AMICI ASMARINI sparsi per il mondo.
Loredana e Romano Modonesi
Affettuosi auguri di Buone feste!
Eloisa, Daniele e Matteo Magherini
(23/12/2013)

Cari amici,
Buon Natale e felice anno nuovo.
Mesfun Zerai

Tanti auguri di Buon Natale e di un felice Anno Nuovo.
Gianfranco Freddi
(24/12/2013)
Auguri a tutti gli asmarini da Sandro e Grazia.
 

 
LA CASSAPANCA
Di Daniela Toti
 

Qualche tempo fa una collega, che ha un melo cotogno in giardino, mi ha regalato mezzo sacco di mele mature. Irregolari, ammaccate, pelose e meravigliosamente profumate, le mele cotogne vanno solo consumate cotte, sotto forma di confettura, oppure si ripongono nella cassapanca per profumare la biancheria, come ci ricorda Aristofane, quando suggeriva: "Sostenete quelli che cercano di farvi sentire qualcosa di diverso e conservate i loro pensieri: riponeteli in cassapanca come le mele cotogne, così i vostri panni odoreranno di intelligenza tutto l'anno".
Mi accingo quindi a preparare la mia prima marmellata di mele cotogne.
L'impresa non è delle più semplici, perché è un frutto durissimo da tagliare, coriaceo, quasi granitico, non lo domi facilmente. Una volta tagliato a pezzetti però, cosparso di zucchero e vaniglia e messo in pentola sul fuoco, ecco il profumo invadere piacevolmente la cucina prima, e la casa poi. E con il profumo arriva il ricordo del cortile del Collegio Sant'Anna quando la merenda mia e delle mie sorelle consisteva sempre in un panino con marmellata di mele cotogne. Mamma adorava quella marmellata, dolce ricordo della sua infanzia, e se ne approvvigionava all'ingrosso dal "Mago" Tola. Non mancava mai in dispensa, e quando le nostre compagne avevano il "carrarmato" per comperare la pizza o la brioche, la nostra merenda era sempre quella al profumo di cotognata.
Erano tempi in cui non era dato di obiettare le scelte materne, per cui la varietà è arrivata quando finalmente la farcitura si è alternata con gli ottimi formaggi di Elaberet!
...e a me questo Natale è venuta la fantasia di mettere nella cassapanca, quasi fossero profumate mele cotogne, uno ad uno tutti i Natali più belli trascorsi sull'altopiano.
Più belli perché legati alla magia dell'infanzia, nell'attesa di Babbo Natale; alla fragilità dell'adolescenza, misti all'emozione dei primi batticuori; alla forza della giovinezza, quando le ferie legate alle festività consentivano progetti di vacanza volti all'esplorazione del mondo.
Questi, carissimo mondo Kikki, i miei auguri per le festività di quest'anno: che abbiano per voi il migliore profumo di pino, panettone e panforte, identico a quello di tutti quei meravigliosi Natali che ho riposto con cura nella preziosa cassapanca dei miei ricordi.

@
D.

18 Dicembre 2013
 

 



 
NATALINO

 
"Abbi cura dei tuoi ricordi, perché non potrai viverli di nuovo" (Bob Dylan)
 

Il servire messa alla chiesa di San Francesco in Gaggiret era per noi ragazzini del quartiere un privilegio, un traguardo che si raggiungeva con gradualità, osservando i tempi della gerarchia, dell'anzianità.
Si iniziava per i neofiti con la messa del mattino e si concludeva con il vespro serale. Le messe della domenica, quella principale delle 11 e le cerimonie dedicate ai matrimoni, era riservato ai chierichetti anziani, mentre i funerali con la croce di Cristo da portare in processione e l'incensiere da ruotare in continuazione, lungo quella interminabile salita che ti portava sino al colle di Thetherath, era devoluto a quelli che erano entrati da poco nel sodalizio, come anche il rito delle campane, con le corde che ti portavano su quasi a toccare il primo tratto del campanile.
Prima dell'entrata in vigore del Concilio Vaticano II, il servizio liturgico veniva effettuato con le spalle rivolte ai fedeli e l'Ufficiante faceva molto uso d'incenso. L'odore inebriante riempiva le navate della splendida chiesa la cui facciata ancora ora oggi si colora di rosso al tramonto. L'incenso penetrava i muri, riempiva tutti gli angoli, i confessionali, ma permaneva intenso, quasi soffocante, negli angoli dell'entrata principale vicino alla due acquasantiere: l'ingresso delle spose sorridenti o l'uscita per l'ultimo viaggio verso il tramonto della vita.
Era lì, nell'angolo di destra della chiesa, che trovavi sempre Natalino. Appoggiato al muro, discreto, silenzioso, che al termine della messa allungava la mano in maniera dignitosa. Erano in molti generosi con Lui. Avrà avuto un età indecifrabile, ma aveva purtroppo un difetto fisico certo: camminava con fatica, aveva la mano sinistra offesa, ma soprattutto il capo sempre reclino sulla spalla.
Era per tutti noi Natalino, ma con la perfidia che contraddistingue la fanciullezza, lo chiamavano tutti con un po' di scherno, "Natalino hanghelouai". Che è un epiteto intraducibile ma che si può sintetizzare in "Natalino testa storta".
Nessuno di noi aveva il coraggio di apostrofarlo da vicino, sicché il nostro coraggio si manifestava con una certa ignominia da lontano. Quando il povero Natalino usciva, scendendo le scale del Redentore e a fatica iniziava ad incamminarsi verso il Collegio La Salle, noi codardi in coro, a debita distanza di sicurezza, lungo la strada che portava verso la Fabbrica dei mattoni, si intonava la solita litania, con una sintonia degna del "Te Deum", cantato al vespro serale.
"Natalino hanghelouai", ripetuto in coro, all'unisono, con l'aggiunta di qualche parola irriferibile.
Il povero Natalino si sforzava di alzare la testa per comprendere dove fossero nascosti quei perfidi amici.
Madre natura aveva però dotato Natalino di una particolare capacità.
Natalino era in grado di afferrare un sasso, inserirlo in una fascia, farlo rotearlo e lanciarlo con grandissima precisione lontanissimo, come un giavellotto che vibra nell'aria per poi planare dolcemente a terra.
Questo esercizio lo faceva per rispondere al coro di scherno di noi piccoli vandali.
E' il gioco e l'eccitazione nostra, consisteva nello schivare i sassi lanciati dal povero Natalino.
Saltellavamo, correvamo, come dei forsennati e, per rendere più intensa la sassaiola, aumentavamo d'intensità il coro.
Ma il destino perfido, in quel pomeriggio che volgeva ormai verso il tramonto, volle punirmi.
Un movimento improvvido, l'inesatto calcolo della traiettoria, forse un raggio del sole al tramonto, ed ecco giungere con meticolosa precisione, degno da artigliere, la vendetta di Natalino. Avvertii un dolore sordo e subito la mia maglietta si colorò di rosso: Natalino aveva colpito, aveva vinto la sua piccola battaglia personale
Iniziai ad urlare per il dolore.
Mi caricarono su un calesse che passava nelle vicinanze e dopo un interminabile viaggio, giunsi all'ospedale "Itegue Menen". Ho dei vaghi ricordi del dottore, penso dalla parlata che fosse un bulgaro, ma avverto ancora in maniera indelebile, il ricordo del dolore che mi pervadeva mentre mi cuciva la testa.
Tornai a casa a piedi, avvolto da una grande fasciatura bianca, la maglietta intrisa di sangue, come un ferito reduce da una battaglia. Speravo in un gesto affettuoso della mamma, almeno una semplice comprensione.
Alla mia vista non disse nulla: semplicemente iniziò a ricorrermi per casa, come in occasione delle grande "marachella". Fu una lunga corsa: io avanti e Lei sempre dietro. La maratona si concluse intorno al letto grande di mamma, con Lei affaticata nel tentativo invano di afferrarmi ed io, come un piccoletto furetto, a saltellarLe intorno. Alla fine si arrese esausta, priva di energia. Si giustificò dicendo che ero l'ultimo dei suoi figli e con i primi non sarebbe mai finita cosi. Dopo quella avventura, smisi di sfottere il povero Natalino. In chiesa quando uscivo, mi allontanavo velocemente e a debita distanza di sicurezza: avevo imparato la lezione. E ancora oggi, quando mi soffermo davanti allo specchio, tra i capelli ormai diradati e canuti, vedo stagliarsi davanti, in maniera inequivocabile, quel lungo taglio.
Lo osservo e penso al tempo che fu: penso alla mia bella Terra ed ai suoi tramonti, penso ai molti che non ci sono più, penso al povero Natalino.

Camillo

 
 
26 Marzo 2014
 

 




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