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Le Rime del Chichingiolo

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Lino Pesce
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A Nord di Massaua

Lontana spiaggia
Immemore
nella luce silente
del mattino
le mille parole.

LINO PESCE

Terra eritrea
(Asmara 1970)

Terra eritrea,
t'ho qui tra le mie mani:
o rotta zolla,
a me nel mio giardino
sentir fai la siccità
degli altipiani;
se il miracolo torna
e - vedi intorno -
tra le dita sottili
della pioggia
l'erba
è sorriso tenero di verde,
ah! ride il mio pensiero
per le lande.

LINO PESCE

 


 

Ricordo d'Eritrea

Ho imparato
quanto sangue
versa un uomo
crivellato di pallottole,
là,
nella lontana Eritrea:
larga crepa nell'asfalto
faceva tinozza;
nell'ilare mattina
portarono via il cadavere
(esecuzione alla sera)
rimase il sangue,
a lungo,
là,
tra le case.

LINO PESCE

Cucitrice 1975

Ti vedevo nel vano
della porta, l'impiantito
basso di un gradino,
la quiete
sembrava d'altri luoghi, nel sole
tropicale, con gesti
d'altri luoghi tu sul tuo cucito,
sartina Italiana, laggiù
(o lassù? È l'altopiano
dal secco clima):
china, in silenzio - struggente,
nell'ex-colonia in grembo
a tragedia crescente,
mi riportavi un capitolo
di vecchia Italia.

LINO PESCE

Ho letto che in Brasile
le mamme mendicanti
i bimbi abbandonano
a tre anni,
cerchino da sé;
ma in Asmara
io vidi:
ancora incerti
sulle piccole gambe,
correr veloci
tuttavia
al mio fianco,
sull'alzato braccino
tesa la palma,
come gli occhi,
a chiedere;
né voce
al chiedere
davano.
Tasca nei miseri stracci,
dove il soldino riporre,
non so dove avessero;
sandali ai piedini
mai io vidi che avessero.
Alcune ne vidi
come di notte dormivano:
da poco io in Asmara,
giravo instancabile,
ecco del primo memoria
ancora mi assale,
è ricordo
incancellabile.
Notturna
era l'ora,
radi
i passanti, ormai,
nel corso principale:
il corpo accartocciato
appunto diceva tre anni,
seduto sul gradino
di un duro portone,
invisibile il volto
chiuso ai ginocchi
tra le serrate braccia;
tirato fino ai capelli
il largo bavero
del maglioncino, dono
per l'Epifania
di un comitato

di italiane in Asmara.
Non so qual migliore rifugio,
come mi auguro, avessero
altri, dei molti,
tenere avanguardie
del grande questuante esercito,
ogni giorno all'attacco:
arrancando, per la polio,
tanti sulla stampella.
Dal silenzio alla parola,
nel loro precario crescere,
per dire, in italiano:
"Dammi cinque, dammi cinque"
(centesimi, il
soldino),
o, nel locale idioma:
"Bascìsc, bascìsc"
(la mancia),
o a ripetere
l'amara qualifica:
"Meschìn, meschìn, meschìn";
e io dalla
storia, che pure
in Asmara insegnavo,
l'eco nei millenni
vi sentivo
del babilonese termine
significante
semilibero,
libero
per colpe decaduto
o affrancato schiavo:
"muskinu";
"maskini ",
oggi, nome è dei poveri
in Kenia: per quanti modi ancora
esso riceva, l'Africa
tutta percorre il termine
che, nelle varianti,
sempre dice miseria
(Italia anch'essa raggiunta,
perfino le patrie lettere
hanno un
"Guerino
detto il Meschino"):
a me, là in Asmara,
questa insiem con l'altre
supplici parole
ritmando quotidiana

pena in quei sette anni,
e ancora in cuore ora.
Vidi
i ragazzi grandi,
che insieme nei cantucci
delle vie si ammucchiavano
(la notte è anche al tropico
fredda, sull'altopiano);
e seppi anche del turno
che tra loro facevano
stando, or sopra il mucchio,
a fare da coperta,
ora sotto, al caldo.
Infine in età robusta,
insonni, tra loro, gli audaci
di notte arrotondavano
col furto: di giorno
in qualche spazio
concesso da vie o giardini
distesi e sonnecchianti
qualcuno me l'indicava.
Poi venne l'"Ethiopia Tikdèm",
la rivoluzione,
del mio settennio al termine.
Tornato alle men fiere
sponde del nostro affanno,
seppi come risolto
Menghistù avesse il problema:
ammazzando la gente mendicante.
Così anche in Asmara.
C'era, per loro, una casa,
notturno riparo, non altro:
forse anch'essa, mai frequentata,
divenne sui miseri accusa;
e quale
per le giovani leve,
sotto i miei occhi,
in sett'anni, cresciute
in vie e piazze di Asmara,
quale fu l'età minima?
Quanti di loro scamparono?
E torna,
sul gradino
del notturno viale,
quel piccolo bambino:
memoria più forte
il primo.

LINO PESCE

21 Novembre 2004
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