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Le mani nel cassetto del Chichingiolo
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Tra le vecchie cose dimenticate in una soffitta, ho ritrovato un consunto raccoglitore di lettere, vecchio di quasi mezzo secolo. Il cuore balza in gola. Quanti ricordi riemergono sfogliando quei fogli ingialliti dal tempo. Vi sono anche note e lettere di cari Amici come Alberto e Guido ma, ecco, sotto gli occhi appare un contratto di lavoro…

 
PROMESSE, SOGNI, ILLUSIONI E… BUGGERATURE.
di Emilio

Qual è 'l geomètra che tutto s'affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond'elli indige
Paradiso XXXIII (133-5) D.A.

L'istituto Tecnico Vittorio Bottego di Asmara, con i suoi ottimi professori ( eccezione fatta per pochi degni solo di essere presi in custodia da Caronte), ha preparato centinaia di geometri che hanno poi trovato lavoro, soddisfazioni e riconoscimenti in ogni angolo della terra. Il sogno di ognuno di loro era quello di essere assunti da un'importante impresa di costruzioni e poter lavorare in altre nazioni africane o del medio oriente o dell'Asia. All'Asmara giungevano echi d'imprese italiane e straniere impegnate nella realizzazione di grosse opere edili, stradali, o intente a costruire dighe e importanti impianti petroliferi.
Un gruppo di geometri del Bottego, sette per la precisione, tra la fine del 1958 e il 1960 venne assunto dall'Agip commerciale operante in Sudan. Detta filiale era guidata da un geometra e da un ingegnere, entrambi "vecchi coloniali" .
I sette geometri, ovviamente, erano già occupati in imprese più o meno importanti, chi in Addis Abeba, chi a Jeddah, chi già in Sudan, ma tutti con un buon lavoro e buone remunerazioni. Però, tanto era il desiderio di entrare a far parte di una azienda italiana che poi li avrebbe portati in Italia, nella Patria dei loro genitori, rassegnate le dimissioni, si presentarono a Khartum felici di entrare a far parte di una consociata del grande gruppo italiano dell'Eni per giunta guidata da persone conosciute.
L'accoglienza fu calorosa da parte dei due dirigenti asmarini e, complessivamente, da tutto il personale della filiale sudanese, compreso quello locale. L'Agip Sudan stava allora aprendo i suoi uffici per poi iniziare la costruzione dei depositi dei prodotti petroliferi e della rete di distribuzione degli stessi . La progettata rete avrebbe aperto le porte ad un mercato dalle potenzialità enormi, la cui superficie era otto volte quella italiana.

Il deposito Agip di Kusti

Il deposito Agip di Kassala

Inizialmente e provvisoriamente i sette geometri furono inquadrati nell'organico aziendale come personale locale in attesa di ricevere i contratti italiani che, a detta dei dirigenti, erano in elaborazione negli uffici della sede romana dell'Agip commerciale.
L'entusiasmo era alle stelle e i sette, già amici e compagni di avventure dai tempi di Asmara si misero, al lavoro a testa bassa. Due furono assegnati ai lavori d'ufficio e di coordinamento dei vari cantieri; l'ufficio tecnico di Khartum vedeva impegnati 2 ingegneri (uno italiano lucano, dell'altro si è già detto) e dai due geometri di Asmara coadiuvati da impiegati sudanesi. Gli altri cinque vennero inviati nelle varie province ove era stato deciso di costruire stazioni di rifornimento, stazioni di servizio e depositi carburanti, quali il costiero di Port Sudan e quelli interni di Khartum, Kassala, Wad Madani, al Qadarif, al Ubayyid, Sannar, Kusti e tanti altri.

1959 - Alberto, detto Gallina dagli amici, attende il traghetto per attraversare il Nilo Blu e proseguire per Wad Madani (Gizira)

In quel periodo moltissime località sudanesi erano ancora sprovviste di strade asfaltate, e tutti i principali percorsi di collegamento alle varie città o villaggi avvenivano su piste il cui tracciato variava a seconda delle stagioni dell'anno. Spesso mancavano la rete per la distribuzione dell'energia elettrica e la rete idrica, per non parlare poi del sistema fognario totalmente sconosciuto, eccezione fatta per alcuni quartieri di Khartum e Port Sudan. Altrove, infatti, di notte, rimorchi trainati da trattori o da dromedari ritiravano dalle case secchi pieni di escrementi umani per sostituirli con altri vuoti, ma lasciati fetidi, da usarsi il giorno successivo.
Ogni abitazione era dotata di "servizi igienici" al piano terra collegati all'esterno, verso la strada pubblica, da una botola dalla quale veniva prelevato il secchio pieno e rimesso al suo posto quello vuoto, comunque lasciato sporco.
Questa, negli anni sessanta, era la situazione in cui versava l'ex colonia di sua maestà britannica e dei suoi sostenitori levantini del Mediterraneo orientale.
Che differenza con le infrastrutture realizzate in pochi anni in Abissinia dai poveri italiani fascisti!
L'acqua nella città di al Qadarif - granaio del Sudan - e in molte altre della provincia era pompata da pozzi governativi e portata a dorso di asinello contenuta di solito in due grosse girbe, si acquistava quotidianamente da venditori ambulanti, e quindi si provvedeva a riempire, con una pompa a mano, i fusti posti sui tetti delle case. Per l'illuminazione notturna si usavano Petromax a retina incandescente.
Non disponendo di energia elettrica e pertanto, non avendo all'interno delle nostre abitazioni la possibilità di usare un pur modesto ventilatore che desse almeno un apparente refrigerio nei locali surriscaldati durante il giorno da un sole inesorabile, si era costretti a dormire all'aperto. Le ore notturne erano spesso dei veri incubi per il clima torrido e per la presenza di insetti di ogni genere, dalle zanzare alle cantaridi e ai mille altri che attaccavano indiscriminatamente qualsiasi essere vivente.
La giovane età e lo spirito di avventura degli ex allievi del Bottego permettevano di accettare con serenità tutti gli enormi sacrifici che si presentavano, consapevoli che le promesse fatte dai due dirigenti "vecchi coloniali" avrebbero a breve compensato i grandi disagi affrontati durante la costruzione degl'impianti Agip in territorio sudanese.

1960 - Percorrendo la "superstrada" di Al Qadarif, la balestra posteriore di sinistra si è spezzata. Successivamente rimorchiati fuori pista da un Thames Trader che trasportava sacchi di dura.

Di tanto in tanto venivano convocati in sede a Khartum, per relazionare l'ufficio tecnico sull'avanzamento lavori, ritirare disegni e ricevere nuove istruzioni. I pochi giorni passati nella capitale, nella foresteria aziendale, erano una vera manna, perché circondati dai tanti confort e serviti di cibi buoni e sani che giungevano direttamente dall'Italia. Anche nei bagni vi era l'aria condizionata!
La foresteria era usata preminentemente dagli espatriati, italiani-italiani per intenderci, dei quali, la maggioranza, era originaria delle Marche e dell'Emilia.
Ogni volta che i geometri abissini erano chiamati a Khartum, si informavano sulla posizione dei loro contratti italiani promessi all'assunzione. Immancabilmente giungeva la risposta pronta, univoca e rassicurante della dirigenza: "A breve sarà pronto il contratto italiano, esattamente come quello nostro e dei vostri colleghi assunti in Italia".
Gli "Abissini", incalliti ingenui, tirato un profondo sospiro di sollievo correvano via con i fuoristrada messi a loro disposizione per ritornare nei cantieri situati in tanta malora a lavorare come forzati, in attesa di essere sistemati dalla grande azienda riattivata, dopo la seconda guerra mondiale, dal sig. Enrico Mattei. Di promessa in promessa si giunse alla fine del 1961. Di contratti italiani ancora neppure l'ombra. Però, ci venne detto che la sede Agip per l'Africa, che aveva uffici megagalattici a Nairobi e che serviva quale punto di ritrovo per gli alti papaveri che giungevano dall'Italia in vacanza o, per importanti ospiti dell'Eni, era stata incaricata di elaborare, finalmente, i tanto attesi contratti di lavoro. Questa disposizione era stata impartita direttamente da Mattei in persona, così fu detto allora.
Quando, durante una visita in Sudan, incontrarono Enrico Mattei, anche lui disse che sarebbero stati assunti alle stesse condizioni del personale che arrivava dall'Italia. Ringraziò per l'ottimo lavoro svolto e aggiunse che era rimasto stupito dalla capacità lavorativa e della preparazione degli italiani dell'Abissinia, e, ironia della sorte, disse che avrebbe voluto avere alle sue dipendenze un numero maggiore di tecnici di Asmara.
Ogni due o tre mesi veniva sollecitata la direzione a sottoporre il tanto atteso contratto che avrebbe dovuto, a tutti gli effetti, equiparare gli habesciat ai marchigiani o agli emiliani, apparentemente, questi ultimi, tanto cari al presidente dell'Eni, forse perché anche orgogliosamente membro attivo dell'Anpi. Anche Mattei si dimostrò poco serio e si collocò sullo stesso piano dei due vecchi coloniali che sino allora avevano raccontato un sacco di fandonie.
I sette geometri giunsero cosi a Ottobre del 1962 - quando l'aereo Eni precipitò e dove trovò la morte Mattei - ancora senza contratto, ma con tantissime nuove promesse. All'inizio del 1963 iniziarono le prime defezioni ed il più accorto, stanco di promesse, si dimise, rientrò in Italia e cambiò datore di lavoro preferendo un'azienda petrolifera americana. A Marzo ci lasciò un altro geometra per rientrare in Italia.
La direzione della filiale sudanese allora diede il meglio di se stessa e inviò una lettera all'Eni di San Donato Milanese con la quale imponeva di non riassumere eventuali dimissionari provenienti dal Sudan. (Nel raccoglitore vi è anche copia della missiva che mi era stata passata sottobanco da una segretaria copta che stava dalla nostra parte e che indignata aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco e battere a macchina la lettera).
Tra la fine del 64 e l'inizio del 65 gli "abissini" lasciarono l'Agip avviliti, disgustati per il trattamento che era stato riservato loro - non tanto dall'Azienda italiana che si dimostrò essere un bluff come erano già stati i giacimenti di Cortemaggiore e di Pontenure, venduti da Mattei agli italiani come pozzi ricchissimi della super potente benzina italiana ma che nei fatti furono solo delle pozzanghere che si esaurirono in brevissimo tempo senza neppure poter permettere di ammortizzare le enormi spese sostenute per la ricerca e perforazione - ma da quei dirigenti che avevano in precedenza, con gli agameh bistrattati ed imbrogliati, respirato la stessa aria tersa dell'Hamasien e bevuto l'acqua di Dongollò.
Emilio

8 Novembre 2007

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