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Le mani nel cassetto del Chichingiolo
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I MARTINEZ
di Giuseppe Storelli

 

Sollecitato da più parti a scrivere qualcosa sui Martinez da offrire agli ex Asmarini, cedo alla violenza e mi accingo a raccontare.
I Maritnez erano meglio conosciuti come i Bassotti, non certo per amore del super deposito di Paperon de Paperoni, ma per ovvie ragioni di statura. Ancora oggi noi stessi ci chiediamo come sia avvenuta questa unione, è successo e basta. Eravamo la più sgangherata ed eterogenea accozzaglia di individui, presi singolarmente sembravamo persone serie, ma quando ci trovavamo insieme era tutta una girandola di battute, lazzi e sberleffi, ma non abbiamo mai litigato. Eravamo campioni dell'Eritrea di 'BUCA': infatti a noi le ragazze ci davano sempre buca, ma sopravvivevamo. Non dico i loro nomi ma solo i soprannomi con i quali ci chiamavamo per qualsiasi motivo, erano: Poppella, Pistola, Mani di Fata, Gas Gas, Gringo, Seppia, Red, Joe. Parlare dei loro fatti e misfatti sarebbe lungo e magari un po' noioso, per cui ho pensato di suddividere le vicissitudini a puntate in virtù dell'accoglienza che queste righe riceveranno fra quanti avranno la pazienza di leggermi. Cominciamo, capitolo uno, Desdemona o per meglio dire Desde-mona.

Desde-mona era una Lancia "Artena" del 1922 con freni meccanici, era stata acquistata in compartecipazione, per cui la prima cosa da farsi era la "personalizzazione". La personalizzazione aveva richiesto una radicale trasformazione del mezzo, per cui sul frontale del radiatore abbiamo dipinto un allegro faccione, sui parafanghi anteriori una variopinta quantità di fiches da roulette, i parafanghi posteriori una copiosa messe di sgargianti margherite, il tetto dell'auto ridipinto a losanghe gialle e rosse, questi in definitiva erano i colori delle nostre maglie quando giocavamo i tornei di calcio, sul retro dell'auto all'altezza del lunotto posteriore da un lato avevamo dipinto il poker d'assi e dall'altro due dadi che significavano il fatidico sette. Sopra il lunotto, la sigla di riconoscimento dell'auto così identificata in RSTUVZAC che tradotto in parole povere stava a significare Rapida Super Turismo Ultra Veloce ZAC. E dulcis in fundo sul frontale del parabrezza una catena simbolo dell'amicizia i nostri sopranomi. La Desde-mona veniva guidata a turno da ciascuno di noi. L'autista di turno doveva indossare la palandrana e il cappello d'ordinanza. Il quale cappello era stato ridipinto sulla sommità a losanghe gialle e rosse. L'autista aveva il compito di portare gli amici al cinema solo pochi minuti prima dell'inizio dell'ultimo spettacolo, aprire loro la portiera, chiudere la portiera, portare la macchina al posteggio. Riprendere gli amici a fine spettacolo all'ingresso del cinema, aprire loro la portiera e accompagnarli a casa o al Bar Rex per prendere il gelato (ovviamente se c'erano soldi a sufficienza). La Desde-mona era dotata di uno strano clacson, a dire il vero non si era mai capito cosa fosse quello strumento infernale che quando lo pigiavi emetteva un terribile ruggito con risucchio. Scommetto che se l'avessimo usato nelle vicinanze di una donna incinta, questa ci avrebbe scodellato il marmocchio in men che non si dica. Fanciulle sulla Desde-mona non ne sono mai salite, o per lo meno una domenica mattina due signorine (roba non alla nostra portata, ovviamente) chiesero di essere portate a fare un giro, cosa che assolvemmo in maniera compita e vera grazia, cercando di soddisfare le loro richieste. Ci tenevamo a fare bella figura. Alla fine ci chiesero di essere lasciate dinnanzi ad un certo edificio. Io chiesi loro se potevo conoscere i loro nomi che li avremmo immortalati sulle portiere della nostra auto. Risposta: "Ci dispiace ragazzi ma non ci teniamo a compromettere il nostro buon nome, abbiamo un fidanzato". Peccato perché si trattava di due belle figliole che avrebbero potuto dare lustro alla nostra poco apprezzata nomea. Buca.
Una domenica pomeriggio stavamo andando a prendere il Pistola per andare a fare una passeggiata. Capitiamo dalle parti del cinema Odeon quando incrociamo tre-sorelle-tre, tre splendide ragazze di cui non posso dire il nome per ovvie ragioni di privacy. Presi dall'entusiasmo tentiamo un abbordaggio.
"Signorine volete un passaggio?"
"No, per carità anche perché quella mi sembra l'arca di Noè".
Replica: "Giusto manca solo l'asino, può accomodarsi".
Il Red che ci faceva la bava dietro una delle tre, tenta di strozzarmi, c'e voluta tutta la forza di Mani di Fata per liberarmi dalla morsa mortale. Buca. Buca. Buca.

La Desde-mona era il mezzo ideale per andare in gita a Gurgussum. E così che una domenica mattina di buon ora, caricata la macchina di ghiacciaia sistemata nel bauletto posteriore, canotto sul tetto, i remi tra il cofano e le gomme di scorta alloggiate nei parafanghi anteriori, fornello a gas, pentolone, acqua per cuocere gli spaghetti, tegamino con il sugo per condire gli spaghetti e un sacco di altre cianfrusaglie, partiamo alla conquista di una fetta di spiaggia e qualche metro di mare. Otto cristiani sistemati alla bell'e meglio nella vettura e si parte. Il viaggio prosegue tranquillo fin verso Ghinda. C'era Giampiero Taddei, un amico e supporter che aveva deciso di unirsi a noi, alla guida della sua nuova MV Agusta Disco Volante che improvvisamente scompare dagli specchietti retrovisori dell'auto. Il Seppia, autista ufficiale riconosciuto per la guida nei lunghi percorsi, ferma l'auto e fa:
"Ragazzi, ci siamo persi Giampiero, temo sia finito culo a terra con la moto".
Era successo che avevamo perso il tappo della coppa dell'olio e il povero Giampiero c'era finito sopra. Qualche minuto dopo lo vediamo ricomparire e tra il serio e il faceto esclama: "Vi siete accorti che avete perso l'olio dalla coppa?"
Controlliamo: ahinoi, è vero. Come risolvere il problema? Joe dice di aver visto un campo di granturco e potremmo risolvere il problema infilando un troncone di pannocchia pulita nel foro della coppa. Detto fatto. Giampiero con la moto va ad acquistare olio al primo paese possibile e nel giro di un ora si riparte tutti insieme, pannocchia compresa. Per inciso siamo rientrati senza problemi. Monumento alla pannocchia.
Si stava viaggiando tranquillamente quando un fighetto a bordo di una vettura DKW 3/6 ci sorpassa guardandoci con aria di sfida mista a commiserazione. Il Seppia mal sopportava certi affronti. Dice: "Lui ha una macchina con motore due tempi che soffre sia per il caldo che le lunghe tirate, al primo rettilineo della piana di Saberguma vediamo come se la cava".
Scalata la marcia, ci lanciamo all'inseguimento e al secondo lungo rettilineo affianchiamo l'odioso nemico e lo sorpassiamo facendogli tanto di cappello, chiedendo scusa se la nostra Desde-mona stava per umiliarlo e in coro lo salutammo con un rispettoso "Buon Giorno signore, scusi signore, grazie signore".
Fu un avvenimento memorabile, alla prima fermata ci prostrammo davanti alla nostra Desde-mona che mai fino ad allora ci aveva traditi. Giunti a Gurgussum, espletate le formalità di rito, bagno, nuotata, battaglia alla cavallina e facezie di altro genere, giunta l'ora della pappa, ci mettiamo a mangiare, cosa? spaghetti scotti del Pastificio Eritreo, sugo di pomodori delle concessioni di Elaberet, ovviamente insipido e bruciacchiato, accompagnati da sabbia della spiaggia di Gurgussum che aveva la peculiare caratteristica di dare ai cibi un che di esotismo raffinato. Ma chi ci badava, avevamo tutti venti anni e dinnanzi a noi c'era uno spettacolo grandioso della natura, alcune ragazze che felici diguazzavano nell'acqua. Che altro avremmo potuto chiedere di più in una giornata simile? Nulla all'infuori della solita… buca!
Ciao.

 
* * *

Per coloro che non lo sapessero, preciso:
"Poppella" è Giuseppe Storelli, "Pistola" Vito Indelicato, "Mani di Fata" Pietro Farella, "Gas Gas" Nicolò Zumbo, "Gringo" Vittorio Nuaros, "Seppia" Ennio Condomitti, "Red" Fabrizio Fanzini, "Joe" Giancarlo Bombonato.

 

11 Dicembre 2009
 

I MARTINEZ NELLO SPORT DEL CALCIO
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Tutto poteva dirsi dei Martinez ma non che fossero degli sportivi e men che meno dei calciatori, ma si sa, davanti alle provocazioni occorre rispondere. Era successo che uno dei nostri aveva fatto gli occhi dolci ad una vezzosa fanciulla di un altro “Clan” e poiché il maschio mal sopporta che un intruso vada a pascolare nei suoi territori di caccia da lì è partita la sfida.
“Come saniamo la questione?”
“Con una gara di salto alla quaglia“
“No ma che dici, meglio una sassaiola con il nancif”
“Ma per carità, non parliamone nemmeno, che ne diresti di una gara con carretti a cuscinetti a sfera?”
“Uhmmmm, si può fare”.
Ma l’idea venne scartata e si decise per una partita di calcio. Fu a causa di quella partita che in seguito proliferarono altre squadre di Bar. Per cui ai Corvi, si unirono i Dritti, Gli Storti, Gli Studenti, gli Universitari e i Tardoni. Si diede così il via al primo torneo che grazie alla disponibilità di Fratel Valentino, dei Signori Cornacchia, fratel Ottavio e qualche altro famoso arbitro locale, ne fu possibile la realizzazione. Dire che i Martinez fossero una squadra di calcio è pleonastico, ora illustro i personaggi o se preferite gli atleti (risata).
Poppella il portiere. I maligni dicevano che era meglio per lui se entrando in campo lo facesse munito di reticella, perché spesso andava a farfalle. Mia madre ad un certo momento temette che stessi diventando gobbo a furia di raccattare i palloni in rete.
Mani di Fata, terzino e re del liscio, non perché fosse un provetto ballerino, ma perché abile nel lisciare la palla, tanto che qualcuno conoscendo questa sua peculiare caratteristica lo saltava a piè pari perché sapeva in partenza che il pallone sarebbe rimasto a lui.
Joe altro terzino detto anche Spaccaossa, mica che fosse cattivo, ma sistematicamente mancava la palla centrando lo stinco dell’avversario. Noi sospettiamo che avesse un difetto di visus.
Red, meglio conosciuto come Due Centimetri perché tanto riusciva a sollevarsi da terra quando doveva colpire la palla di testa.
Seppia giocava ala, non si è mai saputo se fosse ala destra o sinistra, sta di fatto, poiché a lui raramente arrivavano palle giocabili, che si arruffianava il guardalinee, e tra una facezia e l’altra si spippolavano un paio di sigarette, quando addirittura non si facevano servire un caffè.
Pistola detto anche Rimbrotto: infatti per tutta la partita non faceva altro che sbraitare, “Avanti voialtri venite a darmi una mano che da solo non ce la faccio”. Risposta: “Ma tu che vuoi da noi????”
E’ stato senza dubbio uno tra i più bei periodi della nostra gioventù. Al mattino della domenica mentre facevamo la vasca su e giù per viale Mussolini, la gente ci chiedeva: “Allora che fate oggi? Giocate? Si? A che ora? Alle tre? Vi vengo a vedere perché vedere voi c’è da divertirsi e si vedono tanti gol” E ti credo con quel po' po' di difesa che mi trovavo. Non sono stati fatti calcoli ufficiali, ma sospetto che il capo cannoniere del campionato sia stato Mani di fata, al secolo Piede di velluto, ammesso che gli autogol rientrassero nella classifica. Ma perché mai noi Martinez perdevamo sempre? E’ presto detto. La partita per noi era l’ultimo dei nostri pensieri tant’è che in attesa di entrare in campo ci dividevamo in due squadre e giocavamo a Piastra, a Sola e casarra, o alla cavallina. La cavallina era il gioco più ambito, se qualcuno tra i giovani non ha mai giocato alla cavallina se lo faccia spiegare dai propri genitori o meglio ancora da qualche nonno. Era un gioco faticoso e stancante per cui quando entravamo in campo eravamo già sfatti dalla stanchezza.
Non avevamo mai vinto una partita e men che meno segnato una rete. Ma una la vincemmo. Si proprio così: noi ultimi in classifica senza punti e senza goals fatti, riuscimmo a vincere una partita contro i Tardoni. La squadra dei Tardoni era composta per la maggior parte da ex giocatori che avevano militato nella prima divisione. Era una sorta di Panzer Divisionen, un rullo compressore, una potente macchina da gol. Eravamo in campo da circa una decina di minuti quando improvvisamente il Seppia, manco a dirlo, si trovò tra i piedi un pallone capitato a lui chissà da dove. Il Seppia, palla al piede, si dirige veloce verso la porta avversaria, sente l’arrivo di un avversario e nel timore di essere scaraventato a terra dall’energumeno in arrivo, dà una ciabattata senza convinzione alla palla la quale lemme lemme si dirige verso Buttiglione (il Portiere avversario) il quale con nonchalance si china a terra per raccattarla, ma in quel momento un subdolo diavoletto si insinua tra le sue mani e il pallone che gli sfugge di sotto le chiappe e sghignazzando finisce in rete. Costernazione di Buttiglione. Urlo liberatorio della folla sugli spalti che sale fino al cielo. Incredibile: i Martinez, dopo quattordici partite, hanno segnato il loro primo gol. I fiumi hanno smesso di correre verso il mare e stanno tornando alla sorgente.
“Non ti preoccupare Buttiglione, sarai vendicato, non una ma dieci volte”. Non fu così. Fu un martellante assedio di ottanta minuti alla porta di Poppella, il quale si difese con braccia, gambe e, perché no, culo: all’occorrenza aiuta pure quello. E vincemmo, vincemmo contro i nostri migliori amici, quelli del circolo che noi frequentavamo. No, non c’era gioia nei nostri cuori, noi eravamo più tristi degli sconfitti, per cui per punirci decidemmo di andare al Collegio Comboni di Amba Galliano a vedere il saggio ginnico delle ragazze. Sicuramente non c’era punizione peggiore di quella. (Ehi Poppella , vai a raccontarlo alla nonna, ci sei andato che avevi la goccia al lato della bocca). Per l’occasione avevamo tutti indossato un maglione rosso fuoco residuato di una festa di carnevale di qualche anno prima. Ci presentiamo alla porta. La suora portinaia ci guarda con sospetto e chiede: “Ma voi chi siete?” Risposta del Pistola: “Siamo rappresentanti del partito comunista”. La poveretta scappò via recitando una serie infinita di giaculatorie. Ci accomodiamo sul palco. Vicino a me avevo il Seppia che ad un certo punto quasi in estasi mi fa: “Hai notato Pop che le ragazze dell’Amba Galliano sono tutte molto belle?”
“Cos’è, la fame che ti fa parlare? belle sono belle, qualcuna lo è di più, qualcuna di meno”
“A me sembrano tutti Angeli”
“E sai che fregatura, gli angeli non hanno sesso”
“Oh poverini, e che faranno tutto il giorno?”
“Adesso mi suicido e prima del funerale te lo vengo a dire”
“Eh! Buona idea, fammi sapere”
Con quello che avevamo visto sicuramente ci sentivamo puniti abbastanza…… E’ sempre la vecchia storia della... Buca.

o o O O o o

Alcune sere dopo al circolo sportivo dell’Asmara vengo avvicinato da Cesare Merlo, il capitano della squadra dei Tardoni, che mi dice: “Credimi, mi sono divertito tanto, ma veramente tanto, erano anni che non mi divertivo così e con me tutti gli altri, è stata una vera gioia poter giocare questa partita e credo non la scorderò facilmente”.
Per la cronaca: Cesare Merlo credo sia stato uno tra i migliori se non il migliore giocatore italiano di calcio che abbia calcato i campi sportivi dell’Eritrea. Era elegante nel gioco, preciso nei passaggi e quando calciava la palla pareva che l’accarezzasse ed era rispettoso e leale verso l’avversario, un punto di riferimento per i suoi compagni i quali lo rispettavano e provavano per lui una sincera ammirazione.

 

30 Dicembre 2009
 

IL CANOTTO
 

Non ho mai saputo come noi Martinez si sia entrati in possesso del canotto. Era il classico canotto giallo in dotazione alla marina degli Stati Uniti, di forma rettangolare e poteva contenere da sei a otto persone, quindi l'ideale per noi. A seguito di ricerche fatte, pare fosse arrivato a noi tramite l'amico Negassi Haptemariam. Negassì. Egli era diventato per comune accettazione il fuori quota dei Martinez, non tanto perché era dotato di una bella voce, quanto per il fatto che era il più alto fra noi, e questo contribuiva ad alzare la media delle stature, era sempre di buon umore ed era dotato di uno spirito arguto con battute caustiche e micidiali, insomma un bravo amicone, ma l'elemento fondamentale della sua accettazione era il fatto che lui pure aveva qualche pena di cuore con una certa "uizerit". Entrati che fummo in possesso del canotto, il passaparola scattò automaticamente: "Questa sera in ufficio alle sette". Non che noi Martinez si avesse un vero e proprio ufficio, ma l'ufficio era la palma che si trovava all'angolo di viale Mussolini di fronte al negozio di stoffe di Singarella. Come tutte le sere approfittammo del buon Ghirmai, con il quale pattuimmo l'acquisto della metà dello zembil di noccioline, e la discussione ebbe inizio. Non ci volle molto per trovare un accordo, ma per finire le noccioline sì, pertanto dovemmo ricorrere all'aiuto di qualche compiacente amico di passaggio. L'ordine del giorno fu presto approvato.
Primo ci saremmo tutti iscritti alla piscina Mingardi per migliorare le nostre conoscenze di nuoto con adeguato impegno nel nuoto in apnea, visto che volevamo fare pesca subacquea. Secondo, come per la Desde-mona, il canotto necessitava di adeguata personalizzazione. Avremmo costruito un pianale in legno e delle pagaie di modo che il canotto potesse diventare un motoscafo d'altura.
Mentre avviamo i lavori di costruzione del pianale, iniziamo a frequentare la piscina. La piscina Mingardi era così strutturata: dagli spogliatoi si accedeva direttamente alla zona docce, e da lì, tramite una porta che si apriva verso la piscina, si entrava in acqua. Ora succedeva che l'acqua delle docce aveva solitamente una temperatura vicino allo zero per cui fatte poche abluzioni, si piombava velocemente in acqua per il tramite di detta porta. Un pomeriggio di domenica c'erano Mani di fata e Pistola che sostavano lungo il bordo della piscina. Il Seppia, fatte le abluzioni di rito, si fionda verso la porta per entrare in acqua, nella corsa incoccia contro Mani di Fata ed entrambi finiscono in acqua. Il Seppia se ne va per i fatti suoi, ma il povero Mani non sapeva nuotare, per cui comincia ad annaspare disperatamente nell'acqua. Il Pistola vede Mani di Fata in difficoltà e comincia a domandare.
Pistola: Mani per caso stai annegando???
Mani: Arf Arf sput sput
Pistola: Ma stai annegando sul serio o scherzi?
Mani : Arf arf sput sput
Pistola: Ehi Pop vieni a vedere, c'è Mani che sta annegando.
Pop: Eh si eh, sta annegando davvero, credi sia il caso di salvarlo?
Pistola : no, non è il caso di preoccupasene.
Nel frattempo arrivano gli altri e con l'aiuto del Seppia lo tiriamo in secco.
Seppia: Di su Mani, ma davvero stavi annegando?
Mani: andate tutti a c.. brutti s…
Pistola: Pop vagli a prendere un bicchiere d'acqua, così si riprende, ma niente alcolici per carità, lui sia sta facendo un fioretto, perché vuole conquistare una ragazza.
Pop: Scusa Pistola, ma da quando le ragazze si conquistano a suon di fioretti, non ne sapevo niente, ma da quanto tempo va avanti la storia?
Pistola: Per lo meno da un paio di anni.
Pop: Sarà meglio che gli porti un doppio whiskey, così almeno trova il coraggio e si dichiara. Pistola: Bravo, così c'è caso che si becchi anche un paio di ceffoni, porta l'acqua e lascia perdere. Fu così che il povero Mani di Fata non imparò mai a nuotare, un vero peccato perché con quei due badili sicuramente avrebbe ben figurato in un Olimpiade. E mai si sposò.
Nel contempo, il terrazzo di casa del Pistola venne trasformato nell'officina di personalizzazione del canotto. C'era una squadra di perforatori (avrei dovuto dire una equipe, ma io sono all'antica) una di imbullonatori, una di carpentieri, falegnami che segavano e inchiodavano le assi a misura, e una che provvedeva al reperimento dei materiali, traverse in ferro, chiodi, bulloni, viti, segacci e altro. Quando il lavoro fu finito, fu giocoforza calarlo per il tramite di corde giù dal terrazzo: era talmente ingombrante che non c'era verso di farlo passare per la porta. La sera prima del varo caricammo la Desde-mona di canotto, basamento, compressore a motore, per non parlare delle pinne, la maschera (una da usarsi a turno) e fucile per la pesca subacquea. Il grande esperto massauino di pesca subacquea quando vide le misere cose di cui disponevamo, tra il serio ed il faceto, esclamò:
"Dopo quanto ho visto, al massimo potrete sperare in un paio di sardine, a metterla grassa, tre". Presuntuoso: non sapeva con chi aveva a che fare, noi che ambivamo ad un Blue Marlin come minimo. La mattina del varo, di buon ora, fatti gli adeguati preparativi, arrivati al faro per prima cosa mettiamo in acqua, non senza trepidare, il basamento, il quale dopo aver fluttuato per qualche secondo pensa bene di inabissarsi con la stessa rapidità del Titanic. Stupore e costernazione in noi tutti, dove mai avevamo sbagliato?? Se in quel momento avessimo visto comparire una famosa diva in bikini il nostro stupore sarebbe stato meno evidente. Era come se avessimo perduto un braccio o, peggio ancora, la fanciulla dei nostri sogni. Ma ci riprendiamo immediatamente e non abbiamo abbandonato lo scopo della nostra avventura. Fu un vero disastro. Tanto più, che presi come eravamo dal nostro insuccesso, finiamo dalle parti del Lido. Ed è qui che nasce il contenzioso "Ora tocca a noi stare nel canotto", " No, perché dovevate catturare molto pesce e avete fallito". Per farla breve: nasce una furibonda lotta per la conquista del canotto. Chi era a bordo voleva restarci e chi era in acqua voleva salirci. Nel giro di pochi minuti, i pretendenti aumentano quasi come in un crescendo Rossiniano. La cosa bella di tutto questo allegro parapiglia è la presenza a bordo del canotto della nostra collega, mia e del Seppia, la signora Alba Fiachetti. Come avesse fatto ad issarsi a bordo, per noi era un vero mistero: seduta a cavalcioni sul bordo del canotto rideva allegramente come una quindicenne al suo primo ballo in società, menando con un mozzicone di pagaia botte a dritta e a manca. Come… La signora Alba, sempre così seriamente professionale, mai una parola fuori luogo, sempre padrona della situazione, elegante, disinvolta, con quel suo sorriso dolce e rassicurante, che gioca e si diverte come una ragazzina? Mentre sto facendo tutte queste considerazioni, vengo colpito da un fendente, perdo il controllo e finisco sott'acqua e prima di perdere completamente i sensi vedo una coppietta, testa a pelo dell'acqua, al riparo dal canotto, che si sta baciando voluttuosamente, e in tempo per capire che il lui non è neppure uno dei miei Martinez. Rabbia.
Ad un certo momento per il troppo peso il canotto collassa, forse per via di un cedimento in un punto più debole degli altri. Fine della battaglia. Tiriamo in secco i resti del povero canotto, faccio per dargli un ultima occhiata e lì dove il tessuto aveva ceduto c'e un breve taglio. Pare quasi di vedere una bocca con le due estremità delle labbra rivolte verso il cielo, sembra quasi sorridere. Anche lui si era divertito.

 

19 Gennaio 2010
 

LA BALILLA
 

Quel sabato decidemmo di fare un fine settimana a Massaua. Per l'occasione, il Seppia propose di usare la sua Balilla. Attrezzati di tutto punto alle 19,30 partiamo per la grande avventura, e sì, perché di avventura si trattava, pochi soldi, niente vettovaglie, niente albergo, (l'albergo è roba da signori, non fa per noi). Avremmo passato la notte nella solita barca come già era avvenuto altre volte. Personalmente io non ho mai amato molto Massaua, per la semplice ragione che ogni volta che ci andavo ci lasciavo un pezzo del cuore, che era già sbrindellato di suo. Ma si sa, per gli amici si passa sopra a certi sentimentalismi. Quella sera c'era buio pesto, niente luna. Infatti il giorno era stato scelto di proposito perché avevamo intenzione di andare a fare il bagno al faro. A Massaua in certe notti senza luna, se fa particolarmente caldo, ti tuffi in acqua e quando riemergi le luci lontane della città riflettendosi su di te ti fanno apparire verde fosforescente. E noi quello volevamo fare, volevamo giocare ai marziani verdi, strani uomini rana che invadono la terra. Dicevo che c'era un buio pesto per cui in un certo tratto della piana di Saberguma il Seppia si trova davanti un paio di occhi fosforescenti che inevitabilmente finiscono sotto le ruote della Balilla. Scendiamo per vedere di che si tratta ed era un cucciolo di un animale che nessuno di noi conosceva. Che fare? Semplice, lo leghiamo ad uno dei fari della Balilla e lo portiamo con noi.
"Che diciamo di aver preso?" chiede il Pistola, "Diciamo che si tratta di una volpe argentata", spara il Seppia. Arrivati a Massaua si forma un capannello di gente attorno alla macchina. "Uh... una volpe argentata" "Ma come avranno fatto?" e giù commenti e illazioni a tutto spiano, quando all'improvviso salta su il solito vecchietto guastafeste: "Ma quale volpe argentata, non siamo mica in Siberia, è solo un cucciolo di sciacallo". Fine dell'esaltazione collettiva, da eroi automaticamente ci trasformiamo in luridi assassini, e con la coda tra le gambe ci dileguiamo alla chetichella.
"Però c'erano cascati in molti eh?"
"E'stato bello finché è durato"
Ormai si era fatto tardi per cui fatto un adeguato rifornimento di Melotti, ce ne andiamo a Gurgussum. Il viaggio sembrava interminabile quando improvvisamente il Seppia esclama:
"Ragazzi ci siamo. Scendete". Apro la portiera metto il piede in terra e affondo nell'acqua di una ventina di centimetri. "Scusa" dico "Già che c'eri potevi sbarcarci direttamente all'Isola Verde". "C'è poco da fare gli spiritosi e da come la vedo io la marea sta salendo, per cui diamoci da fare a spostare l'auto prima che sia troppo tardi. Presto andiamo a prendere delle pietre, dei rami o delle frasche da mettere sotto le ruote."
Sono lì che armeggio attorno ad un cespuglio quando vedo il Pistola che a dorso nudo, acqua fino alle caviglie, si piazza davanti ai fari della Balilla, brandendo in una mano un grosso macigno, poi parafrasando le parole di una nota canzone di Renato Carosone canta " Mare, Mare crudele" e scaglia il macigno nell'acqua.
"Incosciente che hai fatto, magari quello è l'unico sasso nel raggio di cinque chilometri"
"L'ho fatto per esorcizzare gli spiriti cattivi del mare"
"Sì, come no, Nettuno e la ninfa Calipso"
"E Polifemo dove lo metti?"
"Senti Polifemo vedi di trovare un'altra pietra e usala con buon senso"
Dovemmo sacrificare gli stuoini che ci eravamo portati dietro per le emergenze, ma la Balilla fu messa al sicuro. Vagoliamo in qua e in là per la spiaggia, quando ci imbattiamo in un paio di ragazzi americani della Kagnew Station con i quali cominciamo a scambiare quattro chiacchiere. Tra l'altro i due erano italo/americani che biascicavano qualche parola di italiano in uno stretto dialetto Lucano di cui noi capivamo perfettamente una parola su dieci. Loro erano ben forniti di birra, noi pure, per cui cercammo di fraternizzare, e per fraternizzare perfettamente non c'è niente di meglio che raccontarsi delle barzellette. Quella sera io e il Seppia eravamo particolarmente ispirati e sciorinammo il meglio del peggio del nostro repertorio. E dopo aver trascorso tre o quattro ore fra risate e battutacce decidiamo che è ora di andare a riposare, salutiamo i due e ci ritiriamo. Per l'occasione la camera da letto sarà la Balilla. Al Pistola, in quanto carismatico capo della banda, concediamo l'uso dei sedili posteriori, al Joe quelli anteriori poiché soffriva di cervicale. Il poverino si era anche munito di un morbido cuscino. Al Seppia tocca il soffitto dell'auto e a me il sottomacchina. Non so se e quanto abbia dormito, tra birra, sassolini e sabbia, solo che ad un certo momento sento alcuni punzecchiamenti lungo le gambe, controllo l'origine di quel fastidio, erano alcuni granchiolini che dovevano avermi scambiato per un enorme pesce da sgranocchiare. Esco all'aperto. Sta albeggiando. Sul tetto dell'auto c'è il Seppia seduto a mo' di un Budda pensieroso.
"Cos'è che ti turba?" gli chiedo
"Guarda un po' anche tu" risponde
Davanti a me quattro magnifiche tende bene allineate che si stagliavano maestose verso il cielo. "Beh, e allora?"
"Chi pensi che ci sia dentro quelle quattro tende?"
"Una confraternita di frati trappisti oppure delle pie dame di San Vincenzo"
"Scemo che sei. Delle famiglie, famiglie con mogli, figli, figlie, bambini e bambine. E sai cosa vuol dire tutto questo? Che ci siamo persi la reputazione"
"Perché? Ne avevamo una? Non mi risulta"
"Adesso che facciamo?"
"Lasciami svegliare gli altri due e poi decidiamo"
Il saggio Pistola suggerisce di fare finta di niente, come se noi la sera prima non fossimo stati lì. Fu un vero tormento, i lazzi ai quali dovemmo sottostare per tutto il resto della giornata.
"Allora cosa ha detto Pierino alla maestra?"
"Ma esistono davvero fidanzati tanto tonti?"
"La volpe argentata - e come l'avete presa?? Mettendogli il sale sulla coda??"
"No, gli abbiamo mostrato una tua foto", rispondo acido. E via di questo passo per tutto il giorno. Alcuni giorni dopo sono in ufficio che sto preparando i documenti per andare in aeroporto quando entra una signora, mi vede ed esclama: "Ah... giusto lei, come sta? Ma lo sa che l'altra notte avete fatto un bel bordello?"
"Le chiedo scusa signora"
"Ah… ma c'era anche il suo collega" (si riferiva al Seppia) "Si sbaglia signora, io quello lì non lo conosco"
"Non dica bugie perché ho riconosciuto la sua voce ed anche la sua inconfondibile risata. Voi due siete uno l'anima nera dell'altro. Piuttosto, dov'è il terzo delle tre sorelle Nava?" (si riferiva al Pistola). Ad un certo punto della notte stavo per uscire per dirvene quattro, ma mio marito mi ha fermato dicendo:
"Lascia perdere, le storielle non sono male, io mi sto divertendo, per di più sono del tutto gratis."
"Ma caro ci sono le bimbe"
"Le ragazze sono grandi abbastanza, e anche se non lo danno a vedere chiaramente, se la stanno spassando pure loro"
"Ma che razza di italiano parlavate l'altra sera?"
"Parlavamo Italiese, per metà italiano e per metà inglese. Lei signora lo parla l'inglese?"
"Io non bene, ma ora dispongo di un forbito e ben fornito dizionario di parolacce e frasi sconce. Direi che è un buon inizio".
La signora doveva acquistare un paio di biglietti per accompagnare una delle figlie che doveva venire in Italia a frequentare l'università.

P.S. Il soprannome relativo alle tre sorelle Nava, è riferito a Condomitti Ennio, Indelicato Vito, e Storelli Giuseppe. Ci era stato affibbiato dal presidente del G.S. Asmara il Sig. Agatone Cimaglia, il quale aveva subito capito che uno non poteva esistere senza gli altri due. Si riferiva agli spettacoli di varietà che semestralmente proponevamo ai soci e simpatizzanti del G.S. Asmara. Gli sketch infatti erano sempre imperniati sulla partecipazione in contemporanea di tutti noi tre.

 

21 Febbraio 2010
 

MISCELLANEA


Qualcuno tra gli amici che hanno potuto leggere i primi tre episodi dei Martinez ha avanzato l'ipotesi che siano frutto della mia fantasia, il che non è, anche perché nella ricostruzione degli avvenimenti sono stato molto aiutato dalla memoria degli altri componenti della banda. Ora ci sono cose che vorrei dire ma che purtroppo sono molto slegate fra loro, per cui mi riesce difficile fare di questi episodi un racconto completamente descrittivo. Per cui tenterò di enunciarli slegati così come sono avvenuti.

Stavamo tornando a casa dal lavoro, Seppia ed io, sulla sua moto, quando in lontananza vediamo il Pistola sulla bici: anche lui se ne sta andando verso casa. Dico al Seppia: "Accostati che quando gli siamo vicini gli diamo uno scappellotto." Ma avevamo calcolato male la velocità a cui stavamo andando per cui il povero Pistola si beccò una tale padellata in testa che gli fece volare gli occhiali da sole fin sulla gradinata delle scale della Cattedrale. Ci fermammo per assistere alla reazione. Il Pistola, con tutta la calma di cui era capace, posò la ciclo, con flemma salì gli scalini della Cattedrale e sempre con la stessa flemma inforcò gli occhiali. Ci raggiunse, sollevò gli occhiali e guardandoci negli occhi esclamò: "Spiritoso, ma doloroso, molto doloroso". E con aria sussiegosa ci voltò le spalle e se ne andò. Non potemmo evitare di vedere il livido che si andava formando sul collo alla base del cranio.

Un sabato sera esco dal cinema. Mi guardo intorno e i Martinez si erano tutti volatilizzati. "Strano", pensai, "forse sono al bar del G.S. Asmara che mi stanno aspettando". Inforco la moto. Un calcio, due calci, dieci calci e la moto si rifiuta di partire. "Sarà il caso di cambiare la candela", penso. Mi chino e la candela era sparita e con lei il filo dell'accensione. "Dai, venite fuori, sono sicuro che siete dietro l'angolo a ridere alle mie spalle", ma nessuno risponde. Poiché era notte fu gioco forza per me portare la moto a casa, a spinta ovviamente. Avete presente quella micidiale salita che c'è dopo il cinema Odeon? Non quella che porta al Ferdinando Martini, l'altra. Una salita corta che sembra la gobba di un cammello, dura a farsi soprattutto se devi spingere una moto di oltre un quintale e mezzo. L'indomani, domenica, alle undici mi presento in Ufficio (La Palma all'angolo di Viale Mussolini di fronte al negozio di stoffe di Singarella). Moto sul cavalletto. Sposto gli occhiali da sole, guardo negli occhi i sornioni Martinez e dico "Spiritoso, ma faticoso, molto faticoso" e giù tutti con una fragorosa risata.

C'è stato un periodo in cui al Cinema Impero gli era venuta la fissa dei film strappalacrime, per cui anche noi volevamo provare l'emozione di commuoverci. Quella sera c'era in programma il film "I figli di nessuno" che era stato preceduto dal film "Catene." Protagonisti, Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson. Ci accomodammo tutti e nove, c'era anche Negassì con noi quella sera. E quando il film giunse alla scena madre in cui tutti avrebbero dovuto commuoversi, noi ci mettemmo a piangere a squarciagola, asciugandoci le lacrime tutti contemporaneamente da uno stesso enorme lenzuolo . Il pubblico dietro di noi che rumoreggiava. Si accesero le luci. C'era il Seppia che invocava la mamma ad alta voce, singhiozzando come un povero bambino spaventato, mentre Negassì e Joe lo confortavano accarezzandogli le guance. Inseguiti dalle proteste del pubblico in sala, ci defilammo velocemente. "Crudeli" "Insensibili" "Senza cuore" "Screanzati" furono gli epiteti che ci accompagnarono fino in strada. Il Sig. Mario Folena ci raggiunse e stava per farci una ramanzina, ma si trattenne, accennò un debole sorriso, poi disse: "Siete giovani, e anch'io alla vostra età ho fatto le stesse fesserie".

Quell'anno le piogge furono particolarmente intense, in più per alcuni giorni l'aeroporto di Asmara rimase immerso in una fitta nebbia, gli aerei facevano fatica a decollare ed eravamo nel periodo dell'Haji. Quando finalmente la situazione rientrò nella normalità, e il Seppia ed io riuscimmo a "riveder le stelle", orrore! … il Pistola si era fatto crescere la barba. Un ridicolo filo di peluria largo non più di un paio di centimetri che correva dalle tempie lungo le gote, giù fino alla base del mento, completata da un ridicolo paio di baffetti da sembrare perfino posticci. Per cui a sua insaputa decidemmo che occorreva operare una drastica operazione di pulizia. Questo nonostante il Pistola ci tenesse a dichiarare che il tutto era il retaggio di un qualche antenato Moresco che nei tempi andati aveva occupato la Sicilia. Moresco o non Moresco, la cosa andava eliminata. Un sabato pomeriggio vado a fare visita al Sig. Lobbia Domenico, che si fregiava del titolo di "Il barbiere degli sportivi, il più sportivo dei barbieri" e da lui mi faccio prestare una macchinetta taglia-capelli. Quella sera, tutti a casa del Pistola, e presolo alla sprovvista lo leghiamo su una poltrona. Dopo averlo ben bene legato, ci schieriamo davanti a lui sull'attenti. Mano destra di taglio sulla fronte e mentre intoniamo l'inno dei marines americani, facendo sventolare con l'altra mano il lembo sinistro dei pantaloni, come se un ipotetico vento li facesse sventolare, estraggo dalla tasca la macchinetta. Alla vista della macchinetta il poveretto comincia a supplicare "No… no… no". Ma noi inflessibili procediamo e lo mutiliamo di una metà della barba, dalla tempia destra alla base del mento, e facciamo la stesso trattamento solo sul lato sinistro dei baffi. E così combinato lo portiamo al cinema Impero, in due lo prendiamo a braccetto, e per un quarto d'ora lo costringiamo a passeggiare avanti e indietro nel foyer del cinema, mentre di tanto in tanto gli intimiamo "Alza la testa, su da bravo alza la testa. La ragazza che tu ami, non ricambiato, ti ha visto e adesso ti disprezza". Tanti e tanti sono stati gli exploit fatti. La volta che andammo tutti al cinema con la calla in mano perché dovevamo solennizzare la festa di San Callisto, protettore dei calli. Quando andavamo in vasca con ai piedi un paio di scarpe mezze nere e mezze rosse per il verso longitudinale. Quando il Seppia ci costrinse a mangiare una anguria che era stata esposta per ore al sole di Adi Quala. Era talmente calda che a me sembrò di avere in bocca un cetriolo bollito, ma era tanto, tanto buona, e soprattutto molto dissetante.

Questi erano i Martinez, amici che all'occorrenza si dividevano le sigarette e la pizza, capaci di rifarti completamente il motore della macchina sacrificando ore di sonno senza mai chiedere nulla in cambio. Non era necessario fare lunghe discussioni per decidere una cosa, la si faceva in allegria, sempre tutti d'accordo. Si accettava lo scherzo e la critica senza protestare o offendersi. Forse non c'era accordo sulla scelta della ragazza. "No, quella non fa per te" "Quella a te neppure ti vede". A volte mi chiedevo se il consiglio che veniva dato o ricevuto era frutto di ponderate meditazioni o per la paura di perdere l'amico.

I venti anni trascorsero veloci, per ognuno di noi giunse il momento delle decisioni importanti, e nel breve volgere di poco più di un anno la "banda"si disintegrò. Ciascuno di noi per la propria strada. Chi in Addis Abeba, chi in Kenya, chi lungo le coste del Corno d'Africa, chi in Nigeria, chi nel Sudan e chi in Italia per finire gli studi e prendersi uno straccio di diploma. Molti anni sono passati da allora. Ci siamo ritrovati in tre, Mani di Fata, Seppia ed io, il Pop. Il Seppia per chiudere un discorso ebbe a dire: "Il matrimonio non è la tomba dell'amore, ma è la tomba delle amicizie". "Questo non è del tutto vero", gli ho risposto. "Come vedi noi tre siamo ancora qui, e poi con i formidabili mezzi di comunicazione di cui disponiamo oggi, con Internet, Skype, web-cam, possiamo tranquillamente comunicare con il resto della banda, in più abbiamo il Mai Taclì che ci fa sentire sempre uniti, e a me quando prende la nostalgia faccio una capatina sul Chichingiolo. Buoni, eh i "Gabà", cribbio se erano buoni"

Una volta un collega mi chiese: "Ma cos'è per te Asmara?" "Per me Asmara sono i chichingioli, la trottola che non deve fare tartarra, i bagni nel laghetto di Bet Gherghis, il carretto a cuscinetti, i beles del Dorfu, il collegio La Salle, la Palla-a-volo con la Virtus, il G.S. Asmara, i compagni di scuola dell'Istituto Vittorio Bottego, l'Ufficio Viaggi Asmara, le ragazze di cui mi sono innamorato,
i Martinez, i Martinez, i Mar... ecc. ecc, e la ragazza di Asmara che ho sposato. E scusate se sembra poco.

 

12 Aprile 2010
 

I RICORDI DI CYRANO DI "POP"ERGERAC


Caro Seppia,
Vorrei fare una piccola premessa a quanto sto per dirti, perché se qualcuno oltre te dovesse leggere queste mie note, avrei piacere che il personaggio, tu in questo caso, fosse inquadrato nella sua giusta luce. Ciò detto, passo al nocciolo del problema. Commentando una mia mail su Fb ti lamenti delle "sole" che ti hanno rifilato, non solo le donne con gli occhi verdi, ma anche quelle con gli occhi blu, grigi, neri che siano. E da come sono andate le cose nella tua vita devo dartene atto, ma poiché io sono da sempre il tuo migliore amico (perdonami l'immodestia) mi coglie l'obbligo di farti rilevare un paio di episodi della tua gioventù. Veramente ce ne sarebbero più di un paio ma mi fermo ai più significativi.

Monique
Monique era una splendida ragazza libanese arrivata in Asmara con altre ragazze della sua stessa professione per ballare al Mocambo. Già quando eravamo in aeroporto cominciasti a dare in smanie per lei, volevi e dovevi conquistarla e non sapevi come fare, venisti da me (grande maestro di vita) e ti diedi un paio di dritte. Primo, stasera presentati da lei con una rosa rossa in mano e mentre gliela offri dovrai declamarle una poesia che adesso ti insegnerò:

"J'aime deux choses toi et la rose, la rose pour un jour toi pour toujour".

Se prende la rosa e non ti dà un calcio nelle palle, è fatta. Ebbe cosi inizio una tenera storia d'amore tra… Il Principe e la ballerina (ovviamente tu non eri Lawrence Olivier e lei Marilyn Monroe) ma la cosa funzionò. E iniziò per me una spasmodica ricerca di frasi sdolcinate che tu dovevi imparare e declamare a lei. Mi riesce difficile capire come la cosa funzionasse, lei parlava solo francese e arabo, tu solo inglese e arabo, ma immagino che più d'una volta tu le abbia detto "Monique Iahha bibi". (Traduzione: Monique ti voglio bene). Poi un brutto giorno scoppia il dramma e mentre tu giocavi a fare il Nettuno tra i flutti del Mar Rosso, io mi vedevo costretto a imbarcare sull'aereo della Sudan Airways una Monique in lacrime, che continuava a chiedermi: "Ma Ennio dov'è, come mai non viene?" E io con l'espressione da tonto che più mi è sempre stata congeniale, imparata con anni di duro lavoro sui palcoscenici dei teatri asmarini, fingevo di non sapere e non capire, e la poverina: "Mi lascia così senza una stretta di mano, senza un ultimo bacio?"
A questo punto io veramente una slinguazzata gliela avrei data volentieri, in nome tuo ovviamente. Ma con che coraggio puoi baciare una ragazza in quello stato d'animo, e per di più la ragazza del tuo migliore amico?

Riccioli d'oro

Riccioli d'oro quella sera era sul palcoscenico del cinema teatro Santa Cecilia. Si esibiva cantando "Canzone d'amore indiana" ("When I am calling you……ecc"): forse chiamava te, e tu non hai resistito e sei accorso al suo richiamo. Ed è sbocciato l'amore. Un amore destinato a non corrompersi negli anni e nei secoli, se non ché tu all'improvviso scopristi di sentire una forte attrazione per gli ideogrammi delle tavolette di ceramica dei sumeri per cui ti ritirasti nel monastero sul Monte Bizen a studiare più da vicino l'argomento. Non so quanti giorni avevo trascorso in aeroporto da solo senza il tuo ausilio, costretto a mangiare pietanze scaldate di seconda mano. Per cui mi capita il giorno fortunato in cui posso andare a casa a fami un pasto decente. Girato l'angolo di casa, up, up, chi salta fuori all'improvviso? Riccioli d'oro, la quale mi aggredisce con una sequela di domande, alle quali posso benissimo rispondere, ma per via di quella strana mia tendenza a recitare la parte del tonto mi metto a tergiversare, sperando che Riccioli d'oro, non trovando risposte si rassegni e se ne vada, anche perché nell'aria aleggiava un un tiepido profumino di spaghetti allo scoglio che mi ero fatto preparare da Zaitù. Riccioli d'oro insisteva e il profumo degli spaghetti se ne stava andando. Per cui fui costretto a dire con tutta franchezza: "Guarda il Seppia, prima di partire mi aveva confidato che con te voleva chiudere". Non faccio in tempo a finire la frase che Riccioli d'oro mi cade in deliquio e sviene. L'afferro rapidamente e presala tra le braccia la porto nel primo posto possibile, la stanza di Anna. Te la ricordi Anna, quella dolce e meravigliosa ragazza che ha fatto la felicità di tanti fra di noi? Adagio Riccioli d'oro sul letto e mentre Anna apre la bottiglia dell'aceto, mi aggredisce: "Cosa le hai fatto?? Cosa le hai detto per farle tanto male? Chi è, la tua fidanzata?" Non so quante sedute mi ci sono volute per convincerla che non era la mia fidanzata. Sta di fatto che da quella volta, quando la sera tornavo a casa, al rumore della moto, la gente mi voltava le spalle e qualche ragazza papabile mi faceva le boccacce, mostrandomi la lingua. E non è finita perché O'Leary, il capo meccanico della Ethiopian Airlines che aveva assistito alla scena della Monique, mi apostrofò dicendomi che non sarebbe poi stata una gran fatica darle un bacio ed un abbraccio, bisogna proprio avere un cuore arido, per comportarsi così come avevo fatto io, per cui in tutto l'aeroporto si sparse la voce di un Pop 'Tombeur des fammes' insensibile e crudele.

Ciliegina sulla torta

Sono stato rifiutato da una ragazza "Perché tu non sei affidabile" mentre una seconda ebbe a dire "Ehhh tra te e il Seppia, chissà cosa fate tutto il giorno con tutte quelle belle Hostess".
Che facevamo Seppia in quei 45 minuti di sosta dell'aereo, tra manifesto passeggeri, manifesto merci, piano di volo, meteo forecast, disposizione dei passeggeri, disposizione del carico e del rifornimento? Avevamo da scialare?
Perdonami la sconcezza, tu quante sveltine ti sei fatto in sette anni???
Io manco una.
Pop

 

24 Ottobre 2010

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