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Le mani nel cassetto del Chichingiolo
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MI RITORNA IN MENTE…
di Franco Caparrotti
 

 

... "Mother India". Lo spunto per questo ricordo me lo ha dato il fatto che quest'anno si celebra il centenario di Bollywood, l'industria del cinema indiano. Infatti, il primo film muto uscito nel 1913, ha dato inizio ad un'industria cinematografica che via via negli anni è diventata di livello mondiale e grande concorrente di Hollywood. La cosiddetta "golden age", ovvero l'età d'oro, ha inizio subito dopo l'indipendenza Indiana e dal 1940 al 1960 si è avuto il "boom" del cinema hindi. Film che mescolavano sapientemente la drammaticità del contenuto con lirica (musical). Il top dei film, "Mother India" che ha pure ricevuto dopo la sua uscita nel 1957 il "Filmfare Best Film Award", è considerato il più costoso in termini di produzione, ed è ancora ai primi posti in termini di incasso. Mother India, un melodramma epico indiano, è il remake di un film del 1940 "Aurat" e ha voluto evidenziare il valore umano e morale delle donne indiane e metaforicamente ha voluto rappresentare l'India post rivoluzione. Mother India è diventato un classico culturale e il migliore film indiano di tutti i tempi. E a proposito di Mother India, fu proiettato anche ad Asmara. La locandina non era altro che un cartellone gigante appoggiato davanti al cinema Asmara e noi studenti fummo pure portati ad una matinée. Per noi non era altro che un "bel mattone" che mi sono dovuto sorbire per ben due volte, uno con la scuola e l'altro con i miei genitori. Dopo che il film aveva finito di girare per tutti i cinema di Asmara (come di consueto), ecco apparire un altro cartellone, la locandina di "Waqood"o qualcosa del genere. Mi prese l'angoscia al solo pensiero di passare altre tre ore per vedere un altro capolavoro del cinema indiano. Meno male che ciò non accadde.
Comunque gli anni '60 furono gli anni degli indiani (non quelli di America) ed ecco che mi ritorna in mente:

... "Il circo Indiano". Asmara, fu letteralmente tappezzata di locandine che annunciavano l'imminente arrivo ad Asmara del circo indiano. Era la prima volta che un circo veniva all'Asmara, almeno cosi si vociferava. A parte questo, l'eccitazione di vedere un circo, gli acrobati, le belve feroci e i clown era tanta e si contavano i giorni mancanti all'avvenimento. L'arrivo con sfilata lungo le strade di Asmara aveva aumentato il desiderio. Il circo si piazzo al Villaggio Genio, sul luogo dove poi fu costruito dai Pagano lo Stadio Regina di Saba. Si curiosava per vedere da vicino gli animali, la tenda che era stata eretta in poco tempo ed altro. Tutto per noi era nuovo e interessante. Finalmente arrivò il giorno dello spettacolo che poi fu replicato per quasi un mese per soddisfare tutti gli spettatori. Era qualcosa di meraviglioso vedere il domatore giocare con le tigri e con gli elefanti, e ammirare l'Ursus del circo reggere sul torace il peso di un pachiderma. Gli acrobati in moto dentro una sfera di metallo; i pagliacci e infine i trapezisti che con i loro numeri ci fecero stare con il naso all'insù e con tanta ansia. L'ammirazione per questi uomini volanti cresceva a dismisura, e sia a scuola che nei giochi non si parlava d'altro. Volevo tanto imitare il pagliaccio che cercò di prendere al volo il trapezio e che deliberatamente non prese cadendo giù nella rete con un salto mortale. Un giorno a casa, entrai nella stanza da letto dei miei genitori, dove l'armadio era sistemato di fronte al letto. Salito sull'armadio, mi lanciai sul letto facendo pure il salto mortale. Il letto, anziché attutire la caduta, si ruppe in un frastuono ed io presi una botta sulla schiena da farmi rimanere senza respiro. La porta della camera si aprì e la sagoma di mio padre si stagliò austera e sorpresa. In un attimo intuii le sue intenzioni e con un balzo felino saltai fuori della finestra per evitare la strigliata e i probabili scappellotti. Grazie alla mamma che fece da paciere, evitai il peggio.
Per completare questa "saga" indiana, mi ritorna in mente...

... "Il ciclista indiano, Nawab". Un altro tam-tam pubblicitario annunciò l'arrivo e l'esibizione ad Asmara di un fenomeno del pedale. Lo spettacolo venne all'allestito nel padiglione centrale dell'ISA (Industria Scatole Asmara). Nawab riusciva, pur restando in equilibrio sulla sella a una qualsiasi bicicletta e pedalando, a fare toilette: shampoo, barba, lavaggio delle ascelle, si lavava i denti, si cambiava camicia e canottiera, e se aveva voglia di leggere (penso sia stata la parte meno difficile) leggeva, continuando sempre a pedalare in circolo. All'ora di pranzo mangiava regolarmente il cibo dal piatto che gli veniva passato. Quello che più suscitò clamore è che continuò il suo show ininterrottamente per tre giorni e due notti con straordinaria abilità e resistenza fisica.
Con l'aiuto dei nostri "chichingioli" cercheremo, se possibile, di rintracciare anche qualche foto e perché no? magari un articolo di giornale dell'epoca. S.O.S inviato, restiamo in attesa.
Franco Caparrotti

 
7 Luglio 2013

 
A PROPOSITO DI FILM...

 

Non sarà mai che non vi racconti anch'io della travolgente esperienza del film Mother India, che non ha lasciato traccia nel mio psico-sviluppo solo grazie a un provvidenziale pinguino!

Era in cartellone da così tanto tempo che alla mia mamma, generalmente poco curiosa, venne per l'appunto la curiosità di andare a vedere questo Colossal indiano. In un pomeriggio, in cui sono certissima si sarebbero potuto fare tantissime altre belle cose in alternativa, la spedizione delle quattro Toti approdò al Cinema Roma. Non c'erano posti a sedere, per cui la mia praticissima mamma si diresse con passo sicuro in cima alle scale tra le file delle poltrone e ci fece sedere sugli ultimi due gradini, le più piccole davanti, io e lei dietro.
Pathos: molto. Musica: tanta. Lunghezza del film: quanto basta! Comprensione del testo: zero.
Uscite dopo 4 ore (ma erano davvero 4 ore oppure erano sembrate a noi?) con il ronzio alle orecchie e gli occhi che bruciavano (allora al cinema si fumava...), la mamma con uno sguardo pietoso ha proposto: "A chi piacerebbe un gelato?" anzi, forse ha detto "un pinguino" che si prendeva al chiosco della Croce dl Sud. Un pinguino di crema e cioccolato che aveva davvero la forma del pinguino e che ridiede il sorriso alla giornata!
Solo ora sono andata a leggere la trama di questo epico melodramma e forse oggi lo vedrei con più consapevolezza. Però confesso: quando ogni tanto passano i Bollywood in televisione, li guardo con un certo piacere, perché sono colorati, semplici e prevedibili. Le eroine sono generalmente bellissime, e spesso lo sono anche gli interpreti, per cui è un bel vedere, e ricordano un po' i musicarelli degli anni sessanta.

Ma a proposito di film...

È proprio dal Mondo Piccolo che è nata la mia collaborazione con il Kikki ed è al Museo di Brescello, set della serie di Don Camillo e Peppone, che mi sono trovata qualche tempo fa.
Un piccolo Museo di quello che è stato l'evento che ha portato il paese agli onori delle cronache, evento del quale vive in ogni piega del suo quotidiano dal Bar Peppone, al Ristorante Don Camillo, alla piazza davanti alla Chiesa, quella con il Cristo che dialogava con Don Camillo, con i superbi bronzi raffiguranti i nostri due eroi. Già l'emozione mi ha presa alla stazione: è ancora quella degli anni 50, la stessa dalla quale Don Camillo partiva per l'esilio…
I treni sono cambiati, ma di poco. Per arrivare a Brescello si passano quelle piccole stazioni cantate da Gian Burrasca:

Quelle piccole stazioni
Dove i treni non si fermano
Sono quelle che mi piacciono, non so perché.
Hanno tutte un giardinetto, con l 'aiuola di campanule
La fontana piccolissima, lo zampillo che non c'è.

C'è un orologio, la sala d'aspetto e con il fischietto il capostazion
Addormentato sul suo carrettino c'è un vecchio facchino con i baffon…

Ecco, ho reso l'idea? Qualcuno di ritorno dalle vacanze in Italia aveva portato il disco del Giornalino di Gian Burrasca Show alla mia sorellina Marisa. Era il 1965: una meraviglia, imparammo tutte le canzoni (tra le quali la più popolare probabilmente fu "Viva la Pappa col Pomodoro") e Marisa ne cantò una al CUA, come ho raccontato nel mio contributo a "Noi che veniamo da: IL CUA" (http://www.ilchichingiolo.it/cassetto53.htm).

Tornando a Brescello e al suo Museo, credo che solo se si è profondamente amato Guareschi e i film tratti dai suoi libri sui due eroi, si può provare una grande emozione. Solo così si può apprezzare la Guzzi con Sidecar di Peppone (l'ho accarezzata, accertandomi di non essere osservata), la bicicletta di Don Camillo, la sua tonaca, e poi tutte le locandine uscite per i film in tutto il mondo. Tra il 1951 e il 1965 filmarono 5 libri e furono un successo mondiale. L'umanità espressa in quei film è talmente attuale che ancora oggi passano regolarmente in TV.
Uscendo dal Museo, sotto un portico ecco la campana: quella che Peppone fa costruire per i funerali di un compagno di partito e alla quale Don Camillo fa sparire il batacchio…

Purtroppo però dubito che per chi Guareschi & Co non siano familiari, il Museo e Brescello possano essere di qualche interesse. Tornando a Viadana ripensavo ad Asmara, che non vedo dal 1976 e che vorrei tanto presentare ai miei figli. Potrebbe essere la stessa cosa?
Una visita in Eritrea susciterebbe in me uno tsunami di emozioni e a loro invece - nonostante una vita trascorsa a sentire e leggere ricordi di lì - sarebbero sconcertati per ciò che è passato e forse decaduto?
L'altopiano non è più quello che era, è un dato di fatto. Ma l'ho scoperto in modo brutale, quando una mia collega ha preso un periodo sabbatico e si è unita alle suore di Madre Teresa ad Asco (Addis Abeba) nell'assistenza di bambini siero positivi. Al suo ritorno mi ha raccontato di un Altopiano che io non ho mai conosciuto. Di una povertà oscena, non ammissibile, di una popolazione sofferente. Stupore prima, dolore poi e quindi rimorso. Vuol dire che la mia perfetta adolescenza era vissuta nella totale indifferenza del dolore altrui?
Per consolarmi mi è stato detto che l'AIDS fu identificato più tardi, nel 1981. Mi è stato detto che dopo il '76 la guerra (che è altrettanto oscena) ha radicalmente cambiato una saggia ed atavica struttura sociale rurale per dar posto ad una vita da milizia armata e quindi ad una generazione di reduci.

Pensieri che si susseguono nel tratto Brescello/Viadana, che potrei riassumere con un banale "si stava davvero meglio quando si stava peggio?" oppure con "Dani-hai-la-tua-età-e-devi-cominciare-a-renderti-conto-che-le-cose-cambiano-e-come-se-cambiano!!!"?

Buon ferragosto, mondo Kikki, alla prossima!


D.

 
15 Agosto 2013

 
MI RITORNA IN MENTE…
 

...la mia gazzella di nome Marco. Marco era una bellissima gazzella Thompson, un esemplare ricevuto in regalo da mio padre quando era ancora un cucciolo. Lo allattavo con il biberon, dormiva sullo scendiletto ed era calmo soltanto se sentiva il mio contatto. Quando dovevo andare a scuola, era sempre una tragedia. Una volta il cancello del nostro cortile rimase aperto e Marco mi seguì per un bel tratto di strada. Dovetti tornare a casa insieme con lui e consolarlo per un po'. Si era affezionato a me ed era come la mia ombra. Quando cambiammo casa e da Ghezabanda ci spostammo a Gaggiret, dove avevamo un cortile molto più ampio, Marco poteva scorrazzare e fare i suoi salti, quelli in verticale a quattro zampe, tipici delle gazzelle. Gli piaceva tanto la pastasciutta ed era un ghiottone di spaghetti al sugo di pomodoro.
Il pomeriggio, mentre studiavo, veniva sotto la finestra della mia camera e si ergeva per vedermi: si aspettava la solita carezza sulla testa e dovevo dargli una o due sigarette che mangiava prontamente. Quindi si stendeva sotto il davanzale e aspettava che uscissi a giocare con lui. Cercava sempre d'incornarmi e poi scappava, quindi ritornava all'attacco e via di nuovo finché non era esausto.
Tutto andò bene finché non divenne adulto. Aveva una forza tremenda e in più aveva affinato la sua tecnica d'incornare. Andava a colpire basso per poi alzare la testa, velocemente e con tutta la potenza che si ritrovava. Parare il colpo e prenderlo per le corna a me sembrava un gioco da ragazzi ma avevo fatto i conti senza l'oste. Una mattina, appena alzato, andai a salutarlo e lui, come di consueto, iniziò il suo gioco. Sarà stato perché non ero proprio sveglio, ma non mi riuscì di parare il colpo e la presa per le corna. Fortuna volle che indossassi ancora il pigiama e l'incornata, a livello dell'inguine, non raggiunse il corpo ma tirò su e strappò soltanto il tessuto. Sudai freddo, l'avevo vista brutta! Mia madre che era sull'uscio di casa osservò terrorizzata la scena. Pensai tra me e me che le prospettive per Marco non erano le più rosee. La povera bestia non aveva colpe però con ogni giorno che passava diventava un pericolo pubblico.
Una sera se ne discusse e mi venne, come un lampo, un'idea favolosa. Mi tornarono in mente il Dottor Call e il Vaccinogeno e quando andai a fare delle punture all'addome a seguito di morsi di un dobermann: in un ampio recinto avevo visto delle gazzelle. Decidemmo di parlarne con il Dottore e questi acconsentì ad ospitare Marco.
Non vi nascondo che quando ero solo e pensavo all'idea di separarmi da lui mi commuovevo ma di sicuro Marco sarebbe stato meglio con i suoi simili. Lo andavo a trovare puntualmente ogni settimana e gli davo la solita sigaretta. Una domenica, quando notai che il suo interesse era rivolto più verso le altre gazzelle che me, capii che era giunto il momento di non disturbarlo più. Marco fu portato in mostra all'Expo del 1969 e, credetemi, anche se era passato molto tempo dal nostro ultimo incontro, lo vidi agitarsi quando passai vicino alle gabbie. Mi girai da un'altra parte mentre una lacrima mi rigava il viso.
Franco Caparrotti

 
15 Giugno 2013

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